Dodici minuti. Il testamento morale che il rettore Luciano D’Amico ha affidato al suo Ateneo, in quello che è stato probabilmente il suo ultimo atto con l’ermellino sulle spalle, è durato dodici minuti. Ed è stato davvero un “testamento”, un lascito morale, prima ancora che accademico. Già nelle premesse, in quell’aprire la cerimonia del conferimento dell’onorificenza di Guido II degli Aprutini ad Edith Bruck ed Emma Bonino, richiamando la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea: «In nome della dignità umana, della libertà, dell’uguaglianza e della solidarietà», e poi nella scelta stessa di «Edith ed Emma, per l’impegno della vita che hanno profuso per renderci tutti più liberi».
E’ agli studenti, però, che D’Amico ha voluto dedicare tutto il suo intervento. Ai ragazzi dell’UniTe.
Agli uomini del domani.
Cominciando col ripetere come un mantra laico «Studiare, studiare, studiare» che è stato il sottinteso costante di tutte le parole del Magnifico, in una sorta di riflessione a voce alta che era sì rivolta ai ragazzi dell’Università, ma che si è intuito subito essere un invito a tutti e per tutti.
Perché studiare, ci rende diversi.
Diversi e migliori.
Perché «Studiare consente di essere immersi in un percorso di crescita culturale, anche intimo, che rende ognuno interessante a sé stesso e poi agli altri» favorendo quella possibilità di condividere e condividersi che è lo scopo stesso del nostro essere vivi.
Studiare, studiare, studiare.
Perché il sapere ci consente di intuire quanto la vita sia «quella che viviamo in relazione agli altri non in base ad astratti e geometrici criteri di nascita o di appartenenza, ma in base ai valori nei quali ci riconosciamo» e che fanno di noi, di ognuno di noi, la piccola, diversa parte di un possibile tutto omogeneo.
Studiare, studiare, studiare.
«Per osservare il mondo da prospettive diverse, per riconoscerci quali individui e fuggire da quelle strane modalità di appartenenza a gruppi che il Mondo», in questa fase complicata e complicante del suo divenire infinito sta conoscendo, perché anche se è vero che «i gruppi aiutano a vivere, ci rendono parte di un sistema sociale, è vero anche che non si è maggioranza identificando come nemica una minoranza incolpevole attraverso la quale la maggioranza si definisce in negativo… perché ogni volta che è successo, i risultati sono stati disastrosi…».
Studiare, studiare, studiare.
«Perché lo studio ci consente di sentirci persone, e poi persone nella comunità, e la comunità ci aiuta ad affrontare le sfide più importanti», quelle che la vita ci offre nel suo essere semplicemente vita, meravigliosa avventura capace di offrirci migliaia domande, ma nessuna risposta, perché «le risposte sta a noi trovarle anche individuando possibili soluzioni nuove, anche e soprattutto guardando il mondo da una prospettiva diversa».
Ed è quello che hanno fatto Edith Bruck ed Emma Bonino.
«Hanno studiato, sempre, hanno cercato soluzioni nuove, hanno guardato il mondo da una diversa prospettiva, fino a regalarci nuovi spazi di libertà». Che poi è quello, e il Rettore D’Amico lo pennella con elegante incisività: «Dovremmo considerare quale responsabilità degli eletti».
Perché anche (e soprattutto) chi sceglie di essere guida della comunità dovrebbe ricordare il valore dello “studiare, studiare, studiare”.
Emozionato, nel saluto alla platea, che è anche il commiato di un rettore che, dopo gli anni “eccessivi” della de-teramanizzazione russiana e quelli “invisibili” dell’ordinaria amministrazione tranquillolealiana, ha speso ogni energia nel restituire l’UniTe ad una città che, a volte con un’ostinazione quasi patologica, ha cercato di non accettare quella restituzione.
D’Amico è stato, a nostro avviso, il primo vero “rettore” dell’UniTe. Si deve a lui, l’esistenza di un ruolo, che ha dovuto intagliare nella corteccia antica di un sistema che era anche una zavorra obsoleta.
Avrà anche fatto errori, certo, ma Teramo gli deve una “idea” di università che prima non esisteva.
L’attenzione con la quale, poi, questa città ha saputo resistere al cambiamento, in un fiorire di carte da bollo e di inchieste giudiziarie che - e lo racconta lo stesso D’Amico - in un solo giorno portarono in Ateneo cinque, ripetiamolo: cinque diverse forze di polizia, per almeno altrettante inchieste, è la dimostrazione di quanto l’azione di D’Amico abbia prodotto un cambiamento
Quando chi scrive queste righe denunciò le “magnifiche spese” di Russi, non si mossero i paladini della denuncia facile, ma la denuncia l’annunciò Russi nei confronti del giornalista che aveva scritto la verità. E alcuni giornali la titolarono.
Sergio Turone, al quale si deve il seme di quella che sarebbe poi diventata una facoltà universitaria, se n’era andato da dieci anni, ma nelle nostre chiacchierate aveva più volte sottolineato quanto Teramo fosse pronta a farsi suddita di chi sapeva farsela amica.
Luciano D’Amico ha chiuso il suo intervento e lascia l'ermellino invitando tutti noi e i suoi ragazzi «ad impegnarsi per lasciare questo mondo ancora più libero, ancora più ricco di diritti e più orientato a quel rispetto della dignità umana che troppo spesso oggi viene meno»
Lui, da Rettore, c’è riuscito.