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Si è compiuta la vendetta di Tommaso Ginoble. I numeri dell'elezione in Provincia lo dicono chiaramente: quelli che sono mancati sono soprattutto i voti della cosiddetta "fascia rossa", ovvero quella dei Comuni medio grandi, che ospita praticamente tutti quelli della costa. Da lì, considerando le maggioranze di centrosinistra consolidate, non sono arrivati tra i 13 e i 18 voti che erano dati per scontati. E non è un mistero per nessuno che in quel di Roseto, ai margini di un'amministrazione che probabilmente non corre il rischio di essere ricordata come la migliore della storia, il gioco degli allineati e coperti ha spinto una parte del Centrosinistra a votare per il candidato di Centrodestra. E' un po' come la storiella dell'uomo che si evira per far torto alla moglie, votare l'avversario per non far vincere il compagno di schieramento del quale ci si vuole vendicare. Su Alba Adriatica, c'è chi nutre qualche dubbio ma è l'assessore Dino Pepe a fugarlo: «Assolutamente no, Alba ha votato per D'Alonzo, senza alcun dubbio, qualcosa non ha funzionato in tutta la provincia, perché qualcosa è venuto meno e si impone una riflessione a livello di partito, perchè non siamo riusciti ad intercettare quel movimento civico che invece nelle precedenti elezioni provinciali eravamo riusciti a coinvolgere, io invito il partito ad una riflessione immediata, perché è un elemento che non possiamo sottovalutare in chiave di elezione provinciale». Anche a Teramo i conti non tornano, mancano due voti alla conta prevista e, alla luce della vigilia, benché ci sia qualcuno pronto a giurare il contrario, la lettura di certastampa è che quelle due preferenze in meno siano da ricercare tutte all'interno della componente consiliare di Teramo 3.0, che si era dichiaratamente espressa per l'altro aspirante candidato presidente, Camillo D'Angelo, sindaco di Valle Castellana, il quale tra l'altro - secondo gli osservatori più attenti - potrebbe anche aver votato Di Bonaventura. Certo, quelle due schede mancanti pretendono adesso una verifica in maggioranza e l'adozione, da perte del Sindaco Gianguido D'Alberto di chiare e inequivocabili scelte, perché una maggioranza si regge sulla coesione, non sulle pugnalate alle spalle. E' venuto il momento che D'Alberto s'incazzi e alzi la voce. Adesso.

Certo, queste elezioni raccontano anche un'altra storia, quella di un Centrodestra che, in vista delle Regionali, è più vivo che mai, con una presenza "granitica" di Fratelli d'Italia di Giandonato Morra, che ha visto la presenza massiccia alle urne provinciali e che ha dato un impulso decisivo alla vittoria di Diego Di Bonaventura, dimostrando ancora una volta l'esistenza di quella componente di Destra-centro che incarna ancora la tradizione vera della destra italiana. Da ultimo, Paolo Gatti. Di lui scriviamo in altro articolo ironizzando sulla sua scelta di abbandonare la politica, ma queste elezioni provinciali ne scolpiscono un ruolo nuovo. In questo momento, Paolo Gatti è Forza Italia, l'unico nome possibile e spendibile di un partito nel quale anche i rappresentanti provinciali, come Vincent Fanini sono ormai introvabili come la figurina del Feroce Saladino in una famosa raccolta. Gatti ha dimostrato di avere ancora (e forse di più) quel controllo del territorio e quella capacità di militarizzare il consenso che sono da sempre la sua cifra stilistica e che ne fanno adesso, in questo momento di scelte candidatorie, un nome non più trascurabile per la corsa alla Regione. Se fino a ieri, per il Centrodestra abruzzese, Gatti era un "sondaggiato" di Forza Italia, oggi grazie al successo in Provincia si rilancia prepotentemente quale possibile candidato alla presidenza della Regione. Chissà come farà Ginoble a spiegarlo a Legnini...