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Signor Prefetto, autorità civili, militari, politiche e religiose, associazioni degli ex combattenti, concittadini, quella odierna è la festa della pace!
Così, nel 1984, Sandro Pertini, allora Presidente della Repubblica, esaltò e sintetizzò la celebrazione del 4 Novembre, dando ad essa un marchio indelebile, un profilo nuovo.
Nata dalle ceneri della Guerra Mondiale, che aveva seminato milioni di morti, indicibili devastazioni, territori e nazioni divise, la festa del 4 novembre fu ideata per eternizzare la conclusione vittoriosa di quell’evento che, nonostante la sua crudeltà, per la prima volta affratellò giovani di ogni regione e di ogni ceto, e cementò l'irreversibile scelta di “un' Italia una”, per citare ancora Pertini.
Finiva proprio cento anni fa, quindi, “l’inutile strage’, a causa della quale morirono inutilmente milioni di ragazzi, di contadini, di povera gente, di innocenti sacrificati sull'altare della guerra. Quella guerra fu per l'Italia un infinito dramma, un massacro inferto tra l’altro alla parte più indifesa della popolazione.
E allora, come celebrare degnamente questa Giornata, se si rigettano a priori le ragioni che la ispirarono, oppure, dall’altro lato, se si indugia nella retorica? Forse un modo c’è, ed è proprio nel secondo termine che oggi ci chiama a riunirci: evocare l’unità del paese, quell’unità che trovò il suo primo compimento negli echi dei mille dialetti che si intrecciarono nelle terribili trincee.
Bisogna cominciare col dire, quindi, che l’Unità è tale se non rimane circoscritta nella riduttiva appartenenza dentro confini condivisi; è tale se non si esprime solo con la passione per la nazionale di calcio; se non si perde nelle sabbie mobili di un indefinito e unificante modernismo; se non si riduce (e tantomeno esalta) nel vanto di esclusività estemporanee.
L’unità è, invece, una condizione che ci rende forti, così forti da reggere l’urto degli eventi e da consentire che gli accadimenti diventino occasione di rinascita. Proprio ciò che ci aspettiamo noi, in Abruzzo, dopo il terribile colpo inferto dal terremoto. Ne viviamo ancora le conseguenze: sulla nostra gente, con migliaia di persone lontane dalle proprie abitazioni; sui nostri beni: con edifici pubblici e privati per i quali ancora non parte la ricostruzione. L’unità, perciò, è la forza di una comunità che affronta gli accadimenti non difendendosi ma aprendosi, nella ragionevolezza del proprio diritto e nella compattezza delle proprie istituzioni.
E l’Unità si esprime nella sua più compiuta forma quando ci conduce oltre il suo perimetro; verso orizzonti più ampi. Penso all’Europa: il nuovo confine che dobbiamo darci insieme, senza smarrire le nostre peculiarità ma facendo appunto dell’unità che oggi celebriamo, un valore proprio del nostro popolo ma anche una opportunità esterna alle nostre dimensioni ma pronta ad essere colta.
La stessa unità che ispirò, nel secondo conflitto mondiale, la Resistenza e la lotta di liberazione. Unità che oggi celebriamo perché da essa sono venuti libertà e pace e che deve sostenerci in questi tempi, a difesa ma anche come proiezione verso sempre più ampie prospettive.
E il richiamo all’ unità che oggi celebriamo, assume, negli anni che viviamo, un valore pieno e sostanziale solo se non si esaurisce nella riduttiva esaltazione di un elemento accentratore o di un elemento esclusivamente identitario proprio di uno Stato Nazione, che troppo spesso nella Storia è stato embrione di tragiche vicende.
L’unità sul terreno dei rapporti istituzionali, va correttamente coniugata con il valore del decentramento e con il rispetto delle autonomie, territoriali e funzionali, come sancito dall’articolo 5 della Costituzione.
Unità che sotto il profilo dei rapporti con la popolazione governata, o più semplicemente con le persone, vogliamo intendere e declinare come unità delle e nelle diversità, ovvero come fattore di inclusione e solidarietà nei confronti degli altri, degli ultimi, dei più deboli che anche dal di fuori dei nostri confini geografici ci chiedono aiuto, oggi più che mai. Un grande paese veramente unito, e l’Italia tutta sa esserlo, è un Paese tenuto insieme dal vincolo solidale di umanità. E l’umanità non ha confini, l’umanità non respinge ma, abbracciando, integra ed include. Oggi, come e più di ieri, non esiste unità credibile senza un forte vero spirito di umanità.
E, ugualmente senza retorica, oggi possiamo dire che le nostre forze armate sono una ricchezza. Uno stato può dirsi davvero democratico quando, tra difficoltà e ostacoli, si sviluppa, si consolida, si espande nelle istituzioni della difesa nazionale; che diventano tali anche per i paesi dove sono chiamate ad intervenire, così come hanno dimostrato negli ultimi decenni con le missioni di pace, diventando esemplari e amate. Le forze “amate” potremmo dire con un felice gioco di parole.
Il comune destino del nostro popolo - diceva ancora Pertini - è legato al fine ultimo delle Forze Armate: "difesa della pace così come tutela dell' unità, della sicurezza e dell'indipendenza nazionale": i na perfetta rispondenza alla costituzione quando sancisce, al suo articolo 11, che "L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali".
Dalla celebrazione odierna della vittoria del 4 novembre, che fu frutto di sacrificio e di unità di tutto il popolo italiano: dei contadini al fronte, delle donne operaie nelle fabbriche: donne chiamate, forse per la prima volta a sostituire gli uomini nel lavoro, nella fatica quotidiana, nella responsabilità, dobbiamo trarre impulso per mettere da parte ciò che ci divide e favorire un nuovo spirito unitario, che sostenga lo sforzo di consolidamento del nostro paese o di rinascita della nostra terra ferita.
E a voi oggi qui presenti, che servite la patria in armi, e siete figli della Repubblica democratica sognata dai nostri padri, guardiamo con gratitudine per l’impegno che svolgete al servizio del paese e, in particolare, della nostra comunità. Vi auguro di essere sempre più “forze amate”, e di sorreggere tutti noi nel difficile ma appassionante compito che i tempi, le circostanze, gli avvenimenti ci impongono.
A voi tutti invio il mio saluto e quello affettuoso di tutti i teramani, anche per l’odierna “festa della pace”.
Viva le Forze Armate, viva la Repubblica, viva l'Italia!