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minossereC’è, nella vita di ogni grande statista, una foto alla scrivania. C’è, nel vissuto iconografico di ognuno degli uomini che hanno fatto la storia, un’immagine che li lega per sempre ad una scrivania e ad un preciso messaggio affidato all’eternità. Su quella di Churchill c’è l’accenno di un gomito appena appoggiato, a mitigare la durezza di quell’elmetto che tratteggia i giorni della guerra, mentre la tuba nera racconta di un impegno pubblico che non può venir meno, neanche sotto le bombe tedesche. Su quella di Putin c’è un rincorrersi di telefoni datati, che sanno di un’altrettanto datata guerra fredda e linee calde. Nel piccolo John John Kennedy, che occhieggia dalla scrivania di Jfk, c’è la storia di una presidenza che cambiò il modo di concepire la politica e di vedere il mondo, quella stessa ventata di cambiamento che si può leggere sui piedi del primo presidente afroamericano della storia, appoggiati su quella stessa scrivania costruita col legno di una nave inglese affondata al Polo Nord.

scrivanie

C’è una scrivania anche nella storia di uno dei più grandi uomini politici della storia teramana: Gabriele Minosse, Sindaco di un Comune grande come un condominio  rieletto a furor di mezzo popolo (259 voti per lui, 258 per lo sfidante), Segretario provinciale del Partito Democratico forse meno vincente della storia, Presidente coi voti del centrodestra del Consorzio per il Bacino Imbrifero del Vomano e del Tordino. E anche in quella foto c’è un messaggio affidato all’eternità, anzi: nelle foto che in pregevole trittico campeggiano in apertura di questo articolo. E il messaggio è chiarissimo: «Io so’ io… e voi non siete un cazzo». Non si gridi alla volgarità, però, perché Gabriele Minosse, Sindaco di un Comune grande come un condominio  rieletto a furor di mezzo popolo (259 voti per lui, 258 per lo sfidante), Segretario provinciale del Partito Democratico forse meno vincente della storia, Presidente coi voti del centrodestra del Consorzio per il Bacino Imbrifero del Vomano e del Tordino, è anche un uomo dalle straordinarie pulsioni culturali e dalla poderosa memoria, capace addirittura - si dice - di citare a braccio interi brani del sussidiario delle elementari. Così, dalla posa declamatoria, da quel suo essere salito in piedi sul tavolo principale della sede del Pd, non è difficile immaginarlo impegnato nella dotta recitazione di un antico sonetto del Belli:
C’era una vorta un Re1 cche ddar palazzo
mannò ffora a li popoli st’editto:
«Io sò io, e vvoi nun zete2 un cazzo,
sori vassalli bbuggiaroni, e zzitto.

Del resto, e qui - visto il tono colto che il trattar di Gabriele Minosse, Sindaco di un Comune grande come un condominio  rieletto a furor di mezzo popolo (259 voti per lui, 258 per lo sfidante), Segretario provinciale del Partito Democratico forse meno vincente della storia, Presidente coi voti del centrodestra del Consorzio per il Bacino Imbrifero del Vomano e del Tordino concede a questo articolo - ci permettiamo una citazione dotta (ma poco poco), evocando i padri latini che affidavano al “nomen omen” il senso di un destino scritto già nel nome. Figuriamoci nel cognome di chi è costretto a convivere con l’esempio storico del re di Creta, che tiranneggiava il suo popolo, muoveva guerra a quelli vicini e poi imponeva tributi di sangue. Ci sta che uno poi salga sulla scrivania della sede del partito, con un gesto che è l’immagine stessa del rispetto che si porta al luogo e al ruolo, e si faccia fotografare mentre pontifica.
Se, come detto, Minosse è uomo che sa di greco e di latino, che cita i classici a memoria e che sa di essere chiamato al gravoso compito di dover fare la storia, è sul “far di conto” che non brilla moltissimo. Lo dimostra, con l’eloquenza della logica, questo frammento di intervista che lo stesso Gabriele Minosse, Sindaco di un Comune grande come un condominio  rieletto a furor di mezzo popolo (259 voti per lui, 258 per lo sfidante), Segretario provinciale del Partito Democratico forse meno vincente della storia, Presidente coi voti del centrodestra del Consorzio per il Bacino Imbrifero del Vomano e del Tordino) ha rilasciato a Francesco Marcozzi per Radio G Giulianova. Ascoltatela, poi faremo di conto.

Avete ascoltato? Bene, allora aiutate Minosse a risolvere questo problema: “Se il segretario comunale di un partito che perde il Comune deve dimettersi, cosa deve fare il segretario provinciale di un partito che perde la Provincia’”. Non è complicato, vero? Invece, ad uno dei più grandi statisti che mai abbiano calcato il suolo pretuziano, la soluzione sembra sfuggire. Eppure, non è difficile, facciamolo insieme: Mastromauro era sindaco di Giulianova eletto con il decisivo apporto del Pd, poi il Pd ha perso le elezioni e il segretario comunale deve dimettersi; chiaro fino a qui? Bene, andiamo avanti: Renzo Di Sabatino era il Presidente della Provincia, ed è del Pd, poi il Pd ha perso la Provincia e il segretario provinciale Minosse che deve fare?

Nella declinazione minossiana della realtà però, oltre a calpestare la scrivania del partito, si può calpestare anche la logica, visto che il segretario, che pure nell’intervista dice «…l’avrei fatto anche io…quando si perde ci si dimette punto…», poi si è ben guardato dal dimettersi, pur avendo rimediato una sconfitta storica in via Milli. Punto.
Vabbè… storica, per il partito forse, ma non certo per Minosse, che nel gioco ad incastro del gattoblismo (il patto di ferro tra Gatti e Ginoble, che ha condizionato Provincia, Bim e Ruzzo) sta come l’arlecchino goldoniano e, come quello, se ad un “sior paron” concede, dall’altro incassa, così la perduta Provincia genera i voti gattiani per l’elezione al Bim.
Dall’alto del piedistallo scrivanioso, Minosse probabilmente la chiama “strategia” e immaginiamo che ne vada fiero.
Anche il re dal quale ha ereditato il cognome, andava fiero delle sue gesta, certo non potendo intuire che, mentre lui conquistava terre e città, la moglie se la faceva con un toro, tanto che nel tempo del re non sarebbe rimasto il ricordo mitologico, ma quello del gesto con il quale il suo popolo lo salutava di nascosto: le corna.
E’ il popolo che scrive la storia degli uomini che credono di farla.
Specie se, invece di restare coi piedi per terra, li metti su una scrivania, per sentire il vento che porta l’eco di un miagolìo.