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Oggi tutti parlano o riscoprono Enrico Berlinguer, quel politico che in vita fu fortemente avversato e giudicato dagli avversari un signore prestato ai comunisti, simbolo comunque indelebile per gli stessi ed oggi, invece, a trenta anni dalla sua scomparsa, da tutti riconosciuto modello a cui riferirsi, dimenticando però la cosa più importante che egli fu sempre e per sempre un comunista. A questo ideale, fu legato a vita, sin da ragazzo liceale di Sassari, non seguendo il padre avvocato, fondatore in loco de' "L'Avanti Sardegna", ed il fratello Giovanni nelle riunioni socialiste, preferiva quelle clandestine del partito comunista che avvenivano da tutt'altra parte della città. E dagli inizi del 1943 sino al 1984, anno della sua scomparsa, ebbe una sola tessera quella del partito comunista italiano. Liceale prima ed inclime molto alla storia ed alla filosofia, informato della stessa politica di Togliatti, ed arricchitosi culturalmente tra i libri della  biblioteca di famiglia, poi laureatosi in giurisprudenza con la tesi su "Filosofia e filosofia del diritto da Hegel a Croce a Gentile", sempre da comunista il 7 gennaio del 1944, venne anche incarcerato per aver preso parte attiva in città, Sassari, ai "moti del pane", detenzione che scontò sino al 25 aprile dello stesso anno, dimostrando quel completo opposto della galera dei politici di oggi che la scontano per essersi riempite le proprie tasche con i soldi pubblici o pagando querele per turpiloqui. Divenne da subito segretario comunista della sua città, conoscendo grazie al padre, a Salerno, Palmiro Togliatti nel giugno del 1944, che  immediatamente ne intuì la preparazione e la forza culturale, tanto che dopo il conflitto lo chiamò a Roma, nominandolo funzionario del partito ed ebbe la guida della gioventù comunista, prima nella stessa capitale e poi a Milano e più tandi divetandone segretario nazionale. In definitiva già da qui notiamo che lui non è un nominato od un investito ma un uomo che sa quello che vuole già da bambino, formato culturalmente e che merita quelle responsabilità che iniziano ad essere nazionali. Ed ecco che possiamo ben affermare che è stato l'ultimo grande segretario del partito comunista italiano: un comunista vero, padrone della sua stagione politica, che ha reso il suo partito, in quel contesto storico, il primo protagonista della politica nazionale italiana. Ebbene con lui il partito vide le sue più grandi vittorie politiche e parlo delle amministrative del 1975 (33,4%), delle politiche del 1976 (34,4% massimo storico), attraverso la scelta del "compromesso storico" cioè quella unione delle masse cattoliche della D.C. e del P.C.I. che dovevano unire quegli interessi per poter inserire in quella società italiana più giustizia sociale, ossia elementi di socialismo. Attraverso pubbliche dicharazioni come quella del 27 febbraio 1976 (detta a Mosca davanti a Brezniev), "della costruzione del socialismo in Italia in funzione del sistema parlamentare e partitico", quella del 15 giugno del 1976 "di stare più tranquilli sotto l'ombrello atlantico", quella più tarda del 15 dicenbre del 1981 "sulla fine della spinta propulsiva della Rivoluzione d'Ottobre". Politiche ed azioni elaborate che portano, dopo quel governo dell'astensione di Andreotti del 1976,  il partito comunista italiano democraticamente nell'area di governo, in quel marzo del 1978 quando dette l'appoggio al secondo monocolore demo-cristiano a guida Andreotti, tutto poi interrotto in quel 17 marzo del 1978, dal rapimento dell'On.le Aldo Moro, il vero leader della D.C. e che con Berlinguer proponeva la linea di quella collaborazione tra i due più grandi partiti di quel momento storico. Rapimento ormai si sa eseguito ad hoc poiché il cadavere dello statista democristiano fu ritrovato dentro il cofano di una renault rossa in via Caetani, via in Roma che sta tra via Delle Botteghe Oscure (sede del P.C.I. di allora) e Piazza de Gesù (sede della vecchia D.C.). Scelte queste del Partito Comunista anche criticabili, ma che rivelano lo stesso la grande statura del suo segretario che in pieno terrorismo di vere e false brigate rosse, nella stessa crisi (anche perché l'Italia è stata sempre in crisi economica), proponeva la strategia della politica incentrata sulla "austerità", da spiegare come rigore, efficienza e giustizia sociale, contro lo spreco e lo sperpero, l'esaltazione degli egoismi e degli individialismi più sfrenati e disordinati che ci danno poi quel consumismo più dissennato che perpetrati da alcuni fa precipitare la nazione al dissesto. (Come purtroppo è successo e continua a succedere oggigiorno). Dopodiché con l'allontanamente del partito comunista dall'area di governo, con le costituzioni delle varie staffette a guida Craxi-De Mita sostenue dai vari governi di pentapartito a guida (C.A.F. - Craxi-Andreotti-Forlani), basati soprattutto sulla esclusione del P.C.I., Berlinguer torna all'opposizione elaborando la strategia "dell'alternativa democratica e di progresso", ossia proponendo apertamente la sostituzione della D.C. come partito di governo con il P.C.I. e della costruzione della "Terza Via" al socialimo europeo, per il comunismo, ossia né socialdemocrazia europea occidentale (dette società definite capitalistiche, piene di clientele, ingiustizie e corruzioni), né come quelle dell'est europeo (definite prive di libertà e monolitiche), bensì attraverso l'euro-comunismo occidentale che egli intese come piena unità d'azione tra i vari partiti comunisti europei quali quello spagnolo di Carrillo e francese di Marchais, insieme a vari partiti socialisti avanzati come quello francesce di Mitterand. E con uno sguardo attento anche a ciò che succedeva nel sud America, dopo il golpe Pinochet che aveva distrutto lo stato socialista cileno di "unitad popular" di Salvador Allende trucidato nella Casa Rosada dopo l'assalto dei soldati di Augusto Pinochet. Politiche che lo rividero davanti ai cancelli della FIAT a Torino, in lotta dalla parte degli operai contro le politiche padronali di Cesare Romiti, lo stesso al fianco della gente comune e contro la politica craxiana del taglio dei quattro punti della scala mobile, che lo portò all'indire un referendum che il suo P.C.I. da solo moralmente vinse nel raggiungere il 47% dei consensi. Enrico Berlinguer, segretario generale del P.C.I., a trenta anni dalla sua morte, resta attualissimo per la politica, in particolar modo per quella ormai notissima intervista concessa ad Eugenio Scalfari su Repubblica del 28 luglio del 1981, sulla "questione morale", dove denunciava la grave commistione degenerativa tra i partiti e lo Stato e quindi la fine della politica stessa come passione ma sostituita da quella relazionata con i  vari capi bastone di ogni territorio, dichiarando anche degli italiani che di ciò ne sarebbero vittime ma anche complici poiché ne aspetterebbero i favori ed i favoritismi. Ribadendo quella diversità comunista di essere sempre in prima fila nel distruggere la politica della clientele e favorire quelle delle professionalità e del merito, per contrastare quello sviluppo capitalistico fonte di enormi distorsioni e disparità sociali e grandi sprechi di ricchezze. Politiche da sempre in qualsiasi parte del pianeta difese e organizzate da forze comuniste e socialiste fortemente di progresso e mai da quelle società socialdemocratiche classiche che si sono sempre occupate di quelle masse operaie cittadine sindacalmente organizzate e che nulla hanno a che fare con gli emarginati, con i sottoproletariati, con gli stessi esclusi di ogni realtà sociale. (Esempi le condizioni dei sottoproletariati tedesco ed inglesi non rappresentati dalla S.P.D. e dal partito laburista). In conclusione chi oggi parla di Berlinguer forse non conosce a fondo né la sua persona ed il suo stile di vita, né le sue idee, né il suo vivere la politica e nella politica: Berlinnguer non faceva politica reclamizzata degli annunci, né tanto meno quella populista e qualunquista urlata e volgare. Enrico Berlinguer era la politica ... era un comunista e resta dei comunisti ... Mario FERZETTI