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“Il problema della deroga andava risolto politicamente”. E la Politica non lo ha fatto. La Politica del Partito Democratico, evidentemente incapace di pesare sul livello nazionale. Il presidente della Provincia, Renzo Di Sabatino, ha parlato subito dopo il segretario Minosse al cospetto di una partecipata Direzione provinciale riunitasi nella sede del partito a Teramo ieri sera. Oggi, dalla commissione del Pd nazionale, si saprà l'esito del ricorso depositato contro la mancata deroga alla candidatura teramana: “Ma io sono certo che non verrà accolto...”, sostiene Di Sabatino, che ieri sera ha voluto ricostruire passaggio dopo passaggio l'intera vicenda. Dai suoi ripetuti dinieghi alla candidatura, al valzer di telefonate da ogni parte dell'Abruzzo, fino alle insistenze di chi, autorevoli esponenti politici e istituzionali regionali (leggi Luciano D'Alfonso, governatore, primo firmatario sia della candidatura sia del ricorso contro la deroga non data....e poi Giovanni Lolli, Cialente, Camillo D'Alessandro, Dino Pepe, Silvio Paolucci, e l'appoggio incondizionato di Giovanni Legnini), gli ha detto: “Quando una comunità politica al completo chiama occorre rispondere”. Anche davanti a questo, Di Sabatino ha resistito tentando sempre contatti con il territorio teramano, col segretario provinciale, col capogruppo all'Emiciclo Sandro Mariani. “Perchè, diciamocelo, se non fosse per la mia candidatura Teramo non avrebbe espresso nessun altro nome. Non aveva alcuna ipotesi B, al contrario di tutte le altre realtà provinciali...”, ha ribadito il presidente. Prima del suo, altri nomi erano saltati fuori ma non dalla Direzione provinciale teramana: quello del sindaco di Giulianova, Francesco Mastromauro (“Che io avrei sostenuto, e anche in quel caso sarebbe stata necessaria una deroga e sarebbe stato politicamente necessario risolverla...Basti pensare al caso di Emiliano, sindaco di Bari e segretario regionale del Pd in Puglia”, ha commentato Di Sabatino); quello dello stesso segretario provinciale del Pd Teramo, Gabriele Minosse (“Ma il problema sarebbe stato trovare l'unità del partito attorno a quel nome al congresso...”) e poi, sempre fuori dall'alveo della Direzione Pd, qualche “notabile” regionale aveva suggerito il capogruppo Sandro Mariani (si sarebbe dovuto dimettere). Il ricorso non arriverà oggi, ne è convinto Di Sabatino: “Io non sono per le teorie complottistiche, ho 52 anni e non ho mai avuto e mai avrò padrini di sorta. Ho ritenuto alla fine di dover accettare la candidatura”. Certo è, ha sostenuto sempre il presidente, “che evidentemente la prima firma del governatore D'Alfonso deve aver scatenato una contraerea dal livello nazionale” che non sarebbe arrivata se il Pd Abruzzo “fosse un partito forte, compatto, autorevole”. E la domanda è semplice: “Mi chiedo: se non vi fosse stato questo...da Teramo cosa sarebbe arrivato? Nulla. Nessuna proposta...Di che stiamo a parlare?” L'ipotesi B ce l'avevano e ce l'hanno tutti. Tranne Teramo. Perchè su nessun nome il Pd teramano era in grado di fare sintesi e ritrovarsi unito. “La verità è che Di Sabatino avrebbe vinto il congresso. Il suo nome faceva e fa paura a molti, perchè autorevole, autonomo e in grado di fare sintesi fuori dalla provincia di Teramo”, ha commentato a seguire la presidente del Pd Abruzzo, Manola Di Pasquale. Di Sabatino ha chiosato con un invito “ad una maggiore compattezza in questo partito. Deve iniziare ad uscire fuori dal recinto della provincia di Teramo e deve tessere relazioni all'esterno...” Compattezza assente. In provincia erano già partite le raccolte di firme per sostenere, a vario titolo, gli altri cinque candidati al congresso. Poi, il nome “imposto dall'alto in modo mortificante e irrispettoso”, secondo il segretario provinciale Minosse, di Renzo Di Sabatino. “Non era espressione di questa direzione e qualcuno, i soliti, hanno scavalcato il partito teramano”. Gli altri un'ipotesi alternativa l'avevano nel cassetto. Al congresso del 1 marzo, invece, l'unico a mancare è Teramo. foto-9 foto-8