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ospedale giulianova 1 300x149Una tranquilla notte di paura non è solo un film del 1972 tratto dal romanzo di James Dickey e diretto da John Boorman con due giovani Jon Voight e Burt Reynolds, è anche una storia vera vissuta ieri da una giovane signora teramana nel giorno, anzi nella notte , del suo compleanno.
Nel weekend di paura i protagonisti sono ad Appalachi vicino Atlanta. Invece i protagonisti negativi della nostra storia sono a Giulianova, all ospedale di Giulianova. La prima protagonista è una signora che sta lavorando dietro il palco dove sta per esibirsi Patty Pravo sul lungomare di Roseto .Ore 19 è un pó in difficoltá , da giorni soffre dispnea ma non sono giorni in cui chi lavora può fermarsi, non parliamo di una statale super tutelata inverno ed estate, e dunque si lavora. Ore 20 inizia un dolore al petto e aumenta la difficoltà di respiro. Ore 21 il dolore toracico aumenta fino ad essere lancinante. Ora c'è anche una tosse secca e stizzosa. La signora barcolla è costretta a sedersi, barcolla, si piega. C'è paura. Sono i bravi volontari del 118 presenti in servizio che la sorreggono e con l'auto ambulanza la portano al pronto soccorso.
Il luogo del terrore nel film è il fiume Cahulawassee. Nella nostra storia invece la notte di paura e di tradimento delle aspettative di un cittadino che si fida della sanità pubblica è il pronto soccorso dell' ospedale di Giulianova. Alla cittadina italiana residente a Roseto che tra due ore sta per compiere 43 anni viene fatta una lastra e viene prelevato il sangue. Si presuppone per una diagnosi. Si insinua la paura con il pianto. Siamo alle 22. Da quel momento cala il buio. Niente. Solo il silenzio. Non una parola. C è solo la paura di una giovane donna. Metti che la dottoressa si chiami Maria Claudia e non ha una parola di conforto, metti che non fa neppure un antidolorifico, metti che per lei quella signora è solo una signora una delle tante , basta che arrivi fine turno. Forse quella signora che piange è una che forse aveva voglia di festeggiare il suo compleanno in modo originale e lamenta un dolore lancinante perché non aveva altro modo per farsi notare, metti che già ad entrare in quel reparto si ha subito l'impressione che è meglio andare via, metti che ti dicano che oramai l'ospedale "è uno sfascio" ,metti però che la signora non ha dove andare a quell'ora e ha paura.
Una, due, tre, quattro lunghe ore, e poi cinque e sei, senza una parola caro direttore Fagnano. Dalle 22 fino alle 07 del mattino una donna lasciata sola, sola con il dolore, senza una parola, sola con la paura. Per sentirsi dire alle 07 del giorno dopo che non ha nulla, che può andare. Che avrebbe potuto passare il suo tempo, la sua notte, su una panchina, al porto, a casa, ovunque tanto non ha nulla. L'importante è che il turno sia finito, altro giro altra corsa, nessuno è morto, le ferie sono più vicine e tanto nessun dirigente dirà nulla, mica è capitata a loro la tranquilla notte di paura.
Però il dolore e la paura sono ancora li, e intanto sono arrivati amici e familiari e così la signora va a Teramo. Altro ospedale stessa azienda. All'ospedale incontra un altra dottoressa conosciuta di recente. Solo che questa si chiama Gabriella e da donna che capisce e vuole capire e non si benda occhi e orecchie la soccorre, la sorregge, la conforta ma soprattutto la fa visitare. Viene diagnosticata una pleurite. In pochi minuti si scopre che c'è una infiammazione. Stessa azienda, poche ore di distanza. Ma tanto i dirigenti sono in ferie, fa caldo, sta signora non è figlia di nessuno. Mica è sua figlia dottor Fagnano . Ma dai da non credere. Questa signora italiana, quarantenne, di Roseto, madre e moglie, non si era inventata il dolore per passare il tempo. Viene prescritta una terapia pesante con cortisone e antidolorifici a base di codeina. Questa signora non farà un bella festa di compleanno ma almeno non ha più paura. Tra una settimana tutto sarà dimenticato. Perderà i soldi da lavoratrice stagionale ma non ha più paura. Tutto sarà dimenticato dagli specialisti del dimenticare. Dimenticata la dottoressa che ha tradito il suo lavoro . Poverina che vita triste. Mai può stare tranquilla. E sarà dimenticata anche la dottoressa che ha avuto la dignità, la consapevolezza, l'amore è l' orgoglio del suo lavoro. Due modi diversi di servire una stessa azienda.
Come nel film tutto bene ciò che finisce bene. Però a noi una domanda resta. Se quella notte, in quel servizio si fosse trovato il direttore della Asl o sua moglie, o sua figlia, e non una semplice cittadina ,madre e moglie, lavoratrice stagionale, sarebbe successa la stessa cosa? Il dramma vero di questa storia è che pensiamo di no. E questa è una colpa grave . Molto grave. Davanti ai cittadini e davanti alla vita.

Leo Nodari