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SUICIDIOSOTTILETTEProvo imbarazzo. Grande. Da cittadino. L’intervista realizzata ieri da Rete8, alla direttrice del carcere di Vasto (e che qui potrete rivedere in estratto), è stata imbarazzante. No, non certo per il lavoro dei colleghi giornalisti, e soprattutto dell’ottima Marina Moretti, che hanno fatto un buon servizio, raccontando in diretta la morte per suicidio di Sabatino Trotta, ma per le parole della direttrice.
Imbarazzanti.
Ai limiti dello sconcerto.
Il passaggio nel quale, commentando un dramma quale è quello della morte per suicidio di un detenuto, la direttrice, nella pur prevedibile difesa d’ufficio di tutta la gestione del caso da parte dei suoi sottoposti, scivola sul dettaglio delle sottilette, è imbarazzante.
Ai limiti dello sconcerto.
Anzi: oltre lo sconcerto.
Cito testualmente: «Dopo il tg3 Abruzzo, io mi sono preoccupata perché era un po’ pesantino, non per esternare delle critiche, e ho chiamato e l’agente ha detto che avevano fatto ben due giri, il soggetto appariva tranquillo, e aveva anche mangiato persino delle bruttissime, mo’ mi dispiace dirlo come direttore del carcere, sottilette che sanno di plastica e che io non avrei mai mangiato…» ed è solo grazie alla professionalità della giornalista, che riconduce il tutto nell’alveo di una vicenda dolorosa, se la direttrice non ci offre altre perle di critica gastronomica del menù carcerario.
Imbarazzo.
Ai limiti dello sconcerto.
Sia per quel «…io mi sono preoccupata perché era un po’ pesantino, non per esternare delle critiche…» laddove il “pesantino” non si può che ricondurre o al clima che si era creato intorno al medico arrestato, o addirittura - e sarebbe gravissimo nelle parole del direttore di un carcere - alla stessa ordinanza di custodia cautelare. E sarebbe gravissimo perché, se è questo che intendeva la direttrice, ci troveremmo di fronte ad un indiretto e violentissimo atto di accusa nei confronti di un magistrato, che firmando l’arresto avrebbe poi scatenato la tempesta interiore che ha devastato Trotta, fino a spingerlo al suicidio. Atto d’accusa espresso da chi avrebbe dovuto impedire, per ruolo e responsabilità, quel suicidio.
E poi, le sottilette.
Quel riferimento scollacciato, da compagni di mensa, dettaglio di una inutilità suprema nel racconto della vicenda, alle «…bruttissime sottilette che sanno di plastica…», con l’aggiunta di quella pennellata autoreferenziale «…che io non avrei mai mangiato» è la firma autografa della direttrice sul racconto di una vicenda che avrebbe meritato, da un funzionario dello Stato, anzi: dal direttore di un carcere nel quale un detenuto - considerato da quello stesso carcere “a minimo rischio suicidio” - si è suicidato solo 7 ore dopo l’ingresso, ben altro atteggiamento.
Il silenzio, per esempio.
Un dignitoso, “ufficiale”, silenzio.

Perché lei, signora direttrice, in quel momento rappresenta lo Stato.
Perché il problema è che un detenuto si è ucciso, sette ore dopo l’ingresso in carcere, nonostante la visita del medico, la disinvolta chiacchierata con la direttrice e il doppio, ripeto: doppio controllo serale. Questo è il problema. Non le sottilette che sanno di plastica.
Che lei non avrebbe mangiato

Adamo