Tra i miei venticinque lettori, di certo c’è chi ricorderà che due settimane fa giorno fa, alla vigilia di una - poi non molto riuscita - assemblea della forze alternative alle “destre che governano la Regione”, sostenni che, nel progetto politico che Gianguido D’Alberto coltiva per sé stesso c’è, all’orizzonte prossimo, la speranza di poter essere candidato Presidente della Regione.
Una speranza che il Nostro vede rafforzarsi ogni giorno, visto che il Centrosinistra regionale ha avviato sì - all’apparenza - le consultazioni di coalizione, ma sono nei fatti solo il restauro della facciata di un palazzo malmesso, nel quale i condomini si guardano in cagnesco.
E più litigano, meno scelgono, schiudendo la strada alla soluzione facile, che è quella del “civico che non ti aspetti”, ovvero Gianguido D’Alberto, forte di una riconferma fresca fresca, con un 54% importante nell’Italia e nell’Abruzzo a trazione Fdi, che tra l’altro sa benissimo come questa sua ultima esperienza da Sindaco sia, per tutta una serie di motivi, un incastro temporale imperfetto.
D’Alberto, infatti, lascerà la fascia tricolore a maggio del 2028… ma alla Regione, se non succede qualcosa strada facendo, si voterà solo a marzo del 2029… e dieci mesi sono tanti senza carica e, soprattutto, con la necessità di tornare al suo originario lavoro da funzionario, lasciato dieci anni prima.
Sì, è vero, c’è una soluzione “intermedia”, che è quella delle elezioni politiche del 2027, ma D’Alberto non ha partito e non è facile trovare una candidatura, specie adesso che Teramo, grazie all’osceno smembramento del collegio elettorale, conta quanto il due di coppe con la briscola a spade. Smembramento del quale - lo ricordo a beneficio dei posteri - lo stesso Sindaco del capoluogo si interessò poco, tardi e senza convinzione, mentre avrebbe dovuto tirar fuori gli attributi e alzare le barricate.
Ma per una rivolta ci vogliono le palle. Sull’assenza delle quali, riferendomi al Nostro, mi sono già ampiamente espresso.
Ad ulteriore conferma della mia tesi, quella appunto dell’ambizione presidenziale di Gianguido D’Alberto, ecco arrivare ora una prova autografa: una lettera che lo stesso Sindaco di Teramo, nella per lui utilissima veste di presidente dell’Anci, scrive al Governatore Marsilio.
Per chiedere cosa?
Un aiuto per chi vive in difficoltà? No.
Una maggiore attenzione per le aree interne? No.
Una politica economica per le fasce deboli? No.
Adeguate contromisure contro la fuga dei giovani? No.
Potrei continuare all’infinito, ma faccio prima a dirvi quale è il motivo vero della lettera del Presidente dell’Anci al Presidente della Regione: «Vogliamo candidarci»
Nel senso di “noi Sindaci”, vogliamo candidarci alla Regione.
Perché?
Leggiamo: «I sindaci sono un presidio fondamentale dell'articolazione dello Stato e devono avere una pari dignità nella partecipazione alle competizioni elettorali in rappresentanza dei loro territori».
Come certo ricorderanno i miei venticinque lettori - sempre loro - in Abruzzo c’è una legge che da oltre vent’anni impedisce la corsa verso uno scranno regionale ai sindaci dei Comuni con popolazione superiore a cinquemila abitanti.
La ratio è chiara: se amministri un Comune grande, meglio ancora un capoluogo, devi dedicare il tuo tempo a quella attività, non te ne resta abbastanza per vivere anche gli impegni che una consiliatura regionale impone.
Ergo: se vuoi andare in Regione, ti devi dimettere da Sindaco 90 giorni prima delle elezioni.
Già, ma rinunciare al certo per l’incerto non è mai facile.
Viste anche - e lo dico senza cattiveria - le attuali buste paga dei primi cittadini.
Quindi, D’Alberto chiede alla Regione di cambiare la legge.
«Vogliamo candidarci ma restando Sindaci…»
Immagino che - e qui la cattiveria ce la metto - l’esperienza dell’ultima campagna elettorale vissuta da Sindaco in carica, con un’overdose di conferenze stampa e annunci, faccia pensare al Nostro che l’operazione sia ripetibile anche su macroscala.
D’Alberto, insomma, vorrebbe che la Regione cambiasse la legge, per consentire ai Sindaci, semmai venissero eletti, di scegliere solo in un secondo momento tra Comune e Regione… o di mantenere la fascia tricolore se trombati all’Emiciclo.
D’Alberto sa benissimo che questa sua lettera ha scarsissime possibilità di essere recepita.
Quasi nulle.
La legge non cambierà.
Ma il Nostro, oggi, ha strappato di nuovo un titolone su un quotidiano (anche se i quotidiani cartacei non li legge ormai più nessuno) e lui adora poter postare le pagine con gli articoli e le sue foto.
Quelli e i selfie con gli artisti.
Il progetto “Gianguido for President” continua.
ADAMO