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A Teramo si mangia bene.
Lo sanno tutti, soprattutto i teramani.
La nostra, è una cucina straordinaria, originale e particolare, unica per molti aspetti, che merita di essere valorizzata.
Ecco perché accolgo sempre con grande piacere, quasi tutte le iniziative dedicate alla celebrazione della tradizione gastronomica aprutina.

Quasi tutte.

Quella della quale sto per scrivervi, no.

Perché ho difficoltà nel comprendere come si possano spendere 28.000 euro, ripeto; ventottomila euro, di soldi nostri, per finanziare un’iniziativa destinata, a mio avviso, a lasciare un segno invisibile… tranne che sulle casse del Comune. 

Andiamo subito ai fatti.

L’iniziativa si chiama “Teramo a tavola”, la propone Italia Nostra e prevede una spesa complessiva di 78.700 mila euro, ripeto: settantottomilasettecento euro, dei quali, in un clima di “compartecipazione”, Italia Nostra investe di suo addirittura 1350 euro, mentre 59.350 li mettono enti e istituzioni e 18.000 sponsor privati.

Sì, ma per fare cosa?

Giusto!

Questa è la domanda: a che servono quei 78.700 euro?

La risposta, vi emozionerà.

Servono alla: «raccolta dati sistematica sulle ricette (prodotti e lavorazioni) e tipologie di prodotti basata sulla partecipazione attiva della cittadinanza (Teramo e provincia), nonché di esperti, studiosi e operatori del settore, mediante una piattaforma tecnologica (Piattaforma Partecipativa) per realizzare il Primo Archivio digitale del Patrimonio Gastronomico Teramano; l’intervento si concluderà con una speciale Mostra che ne sintetizzerà i risultati e le caratteristiche distintive (sostenibilità, matrice rurale, elaborazione borghese, qualità gastronomica, ecc.) della cucina teramana in età moderna».

Ve la traduco dal burocratese:
 quei 78mila euro servono a raccogliere le ricette tradizionali teramane, soprattutto chiedendo ai cittadini di inviarle su una “piattaforma tecnologica”, che immagino sia una mail o un sito, e poi con tutte quelle ricette si farà una bella mostra.
Sì, una mostra delle ricette. 

Nel senso proprio di una mostra, con le ricette esposte.

Vabbè, ve lo faccio dire dagli organizzatori:
 «…il materiale raccolto viene quindi musealizzato: le ricette sono esposte come un'opera d'arte tradizionale - la trasposizione in forma scritta dei dati raccolti consente di materializzare il bene immateriale, il quale può essere quindi esposto su supporti diversi, dal documento stampato alle immagini digitali - nell'ambito di un allestimento che prevede l'assemblaggio di opere di natura differente…».

Una mostra di ricette, appunto.

E già le vedo le moltitudini incamminarsi verso Teramo, e poi incolonnarsi come al Louvre davanti alla Gioconda, per poter vedere la ricetta delle mazzarelle esposta, o quella del timballo in una teca, fino all’attesissima versione digitale della ricetta delle scrippelle ‘mbusse.
E non a caso ho citato la Gioconda, visto che il progetto di questo evento cultural - gastronomico, è di quel Fernando Filipponi, storico dell’arte e collaboratore proprio del Museo del Louvre, che la gianguideria chiamò a risollevare le sorti della cultura teramana.

Appunto.

Settantomilasettecento euro.

Come li spenderanno… ve lo dirò alla fine.

Adesso voglio parlarvi del catalogo.

Sì, perché c’è anche un catalogo (del quale non si indica la tiratura, ma che immagino sarà poi venduto alla mostra), che poi di fatto sarà un ricettario… se tanto mi dà tanto, ma una cosa è chiamarlo ricettario, una cosa è chiamarlo «…catalogo della mostra in formato cartaceo e digitale che riporterà: i saggi degli specialisti coinvolti, i risultati delle indagini archivistiche e delle ricerche storiche (cioè le ricette ndr); i risultati della campagna partecipativa (cioè le ricette mandate dai teramani ndr)…», perché se lo presenti così e scrivi anche che «…consentirà, insieme alla Mostra stessa, di restituire al grande pubblico un'immagine totalmente inedita del patrimonio gastronomico teramano e sarà fruibile dal pubblico locale, da appassionati e studiosi di ogni regione quale strumento di lavoro essenziale per ogni indagine futura su tale patrimonio. Sarà inoltre strumento di orientamento e promozione per gli operatori commerciali locali, nonché accurata documentazione e stimolo per la curiosità di un turismo gastronomico di qualità…» poi, puoi anche chiedere al Comune una “compartecipazione” da 39.350 euro, somma che al Comune di Teramo, notoriamente avvezzo al finanziare iniziative cultural - gastronomiche di spessore internazionale - ricordo, tra tutte, le indimenticabili VIRTU’ ESTIVE (leggi qui) - deve essere sembrata eccessiva, visto che ha deliberato di concedere ad Italia Nostra un contributo di “soli” 28.000 euro.

Ripeto: ventottomila euro.

Di soldi nostri.

Perché, spiega Filipponi (non quello del Louvre, ma l’assessore): «…l’evento (come dimostra il coinvolgimento di importanti professionalità locali, nazionali e internazionali) intende proporsi l'obiettivo di costruire un brand utile a promuovere la cucina teramana e chi la produce, di collocare altresì la storia gastronomica del territorio teramano sul palcoscenico nazionale, facendola salire a un livello di interesse ampio, seguendo la traccia di altre importanti cucine italiane, nonché di collocare questa azione culturale nel gruppo di pochi progetti pilota di questo genere, garantendogli una visibilità nazionale e internazionale».

Ventottomila euro per un evento sulla cucina, senza neanche cucinare un piatto.

Eppure, leggendo l’assessore, io l’odore di un qualcosa di cucinato lo sento.

L’aria.

Fritta.




ADAMO

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