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Burji"Il contrario di città non è campagna, è deserto. Deserto come luogo fisico e come solitudine esistenziale."
Renzo Piano di città se ne intende, ne conosce gli umori, le emozioni, le vocazioni e le passioni.
E conosce il deserto “senza città”.
Certo, nessuno lo conosce come chi, per secoli e secoli, non ha avuto il diritto di confrontarsi con il deserto esistenziale, perché era troppo impegnato e vedersela con quello vero… enorme, dominante, onnipresente, cattivo anche.
Meditando una rivincita. 
Contro il vuoto.
Contro la sabbia.
Contro il deserto.
Ed è proprio inseguendo quella rivincita che, quando ne ha avuta la possibilità, l’emiro di Dubai ha deciso di … “riempire il vuoto”.
Costruendo una città enorme sulla sabbia. 
Una città che ha avuto  il coraggio e l’ ardire di ridefinire l’orizzonte, tanto in larghezza quanto, soprattutto, in altezza.
Già, l’altezza.
Ne ho viste, di città verticali.
Quelle nelle quali, all’improvviso, lo spazio è diventato troppo stretto, e allora hanno dovuto rubarlo al cielo.
E ho visto città che, al contrario, di spazio ne avrebbero avuto, ma hanno voluto lo stesso rubarne un po’ al cielo, perché fa tanto metropoli europea. 
A Dubai, no.
A Dubai, è diverso.
A Dubai, è una rivincita.
Contro il vuoto.
Contro il deserto.
Contro la storia.
E te lo dimostra il fatto che qui, a differenza dell’Estremo Oriente, non si limitano a “copiare”, ma fanno di più.
A Dubai, esagerano.
Non gli basta fare, vogliono che quello che fanno sia sempre il meglio del Mondo.
In tutto.
Soprattutto nelle costruzioni, dove il “meglio del Mondo” si calcola in dimensioni. 
Anche perché, i grattacieli non sono tutti uguali.
Quelli di New York sono confusi e caotici, muscolari e arroganti, poco creativi e pochissimo eleganti. 
Quelli di Londra sono più discreti, magari spocchiosi a volte, eleganti quanto basta, iconici ma senza esagerare, sempre attenti al non disperdere quel loro modo di essere inconfondibilmente british.
Quelli di Milano sono provinciali, fighetti più di quanto serva, vipparoli da platea social e tanto, tanto Instagrammabili
Quelli di Dubai, sono altro. 
Non c’è, nell’orizzonte di questa città, quella aspirazione di Occidente che ho visto nei grattacieli di Tokyo, ma neanche quell’aria vagamente sottomessa, da cugini poveri, dei grattacieli canadesi. 
Sono altro.
Sono arabi, tanto per cominciare.
E lo rivendicano in ogni modo possibile, insistendo su una ricerca del dettaglio che poi, nella visione del tutto, si fa segno distintivo. 
È un intreccio di ornati, di archi, di linee fluide che spezzano le geometrie, ma tutto riletto alla luce della prima regola dell’architettura emiratina: l’importante è esagerare. 
E qui esagerano sul serio: grattacieli dai movimenti anche estremi, spirali ardite, avvitamenti impensabili, forme nuove e mai viste, sperimentazioni da cinquanta piani, fino ad arrivare alle due “Burj”, torri, più famose: quella degli arabi, che è la “vela” del famosissimo hotel a sette stelle, e quella del Califfo, che è “semplicemente” l’edificio più alto mai costruito dall’uomo.
Avevo immaginato che un palazzo di ottocentotrenta metri fosse, dal vivo, molto più impressionante che in fotografia… non mi sbagliavo. È più alto di ogni possibile previsione di altezza, una vera e propria sfida al cielo.
Visitabile, ovviamente. 
Con 80 euro, puoi arrivare al 125esimo piano, con 150 al 148esimo, per un’esperienza unica, con aperitivo incluso. 
Seguendo la logica del “si vive una volta sola”, che declino in una mia personalissima “tanto qui non tornerò mai…”, scelgo la versione più costosa.
Col senno di poi, un po’ me ne pento, perché al 148esimo piano il terrazzo all’aperto è un osservatorio stretto e fin troppo coperto, senza il vento prepotente che poi, invece, ho trovato sul terrazzo del 125esimo, ma soprattutto… l’aperitivo non era un aperitivo, ma un tè / cappuccino, con datteri e biscottino. A questo punto, lo so, starete commentando che non si sale a 555metri per un aperitivo, ma per la vista. 
Già, la vista. 
Anche se quella dal Burj Khalifa è 140metri più alta, nella mia personale esperienza quella dal tetto delle Torri gemelle, viste un anno prima del crollo, resta insuperabile. Perché era il “tetto”, il vero “non plus ultra”, mentre dal 148esimo piano della torre del Califfo, se alzi gli occhi al cielo, c’èancora un grattacielo di quasi trecento metri che ti sovrasta, anche se per quasi duecento è solo una guglia vuota, con un ascensore di servizio necessario per raggiungere la vera “punta”, che regge antenne e fari. Ma se non sei Tom Cruise, non ti ci fanno andare. 
Alla costruzione del Burj Khalifa hanno lavorato, per 5 anni, oltre 12mila operai, venuti da India, Pakistan e Bangladesh, pagati circa 220 euro al mese. 
Nel solo primo anno, tra gli operai indiani si sono registrati mille incidenti mortali.
Non esistono dati ufficiali sul totale delle morti nel faraonico cantiere. 
No, non bastano i grattacieli a riempire il vuoto.
“Il contrario di città, è deserto”. 
Ma il contrario di deserto, non è schiavitù.
ADAMO