Partiamo dalla fine: se un consigliere comunale di Minoranza decide di non partecipare ad un Consiglio, per far venir meno il numero legale, non sta violando alcun “sacro patto” coi suo elettori, né stravolgendo le regole del gioco democratico, ma sta semplicemente facendo … opposizione.
Non è difficile da capire, vero?
Così come non è difficile capire che se un consigliere di maggioranza decide di lasciare la sala consiliare, non lo fa per umiliare il consenso popolare del quale è rappresentante, ma esattamente per il contrario: lo sta difendendo.
Chi sa leggere la politica, sa fin troppo bene quanto le assenze siano presenze importanti. Parla molto più una sedia vuota, che un microfono acceso.
Eppure, nel bislacco intreccio delle analisi di qualche improvvido commentatore, ho letto tentativi di lettura ben diversa, con una sorta di affannosa rincorsa allo spostare l’attribuzione della colpa ai consiglieri assenti o, peggio ancora, addirittura alla Minoranza.
Sarebbe come dire che nell’investimento di un pedone sulle strisce, la colpa è del pedone, delle strisce, dell’asfalto, del marciapiede, delle nuvole, dei clienti di un bar vicino… ma non dell’automobilista investitore, che stava guidando col telefonino in mano.
Se salta un consiglio comunale, per mancanza del numero legale, due possono essere le cause: un’improvvisa pandemia, che ha decimato i consiglieri, oppure un chiaro messaggio politico.
Non c’è alcuna pandemia.
C’è invece l’evidente preavviso di agonia di una Maggioranza sfaldata (da mesi), divisa (da mesi), non coesa (da mesi), non convinta (da mesi), non partecipe (da mesi), che naviga a vista su una nave guidata, anzi: gianguidata da un comandante sempre più solo e isolato.
Come lo sono sempre i Sindaci al secondo mandato, quando la squadra dei fedelissimi si scopre un po’ meno fedele, e cerca di prendere le misure delle scarpe del capo, per fargliene di nuove.
La crisi della gianguideria è iniziata molto tempo fa, quando quelli che erano stati gli slanci iniziali, si sono tradotti nel solo rincorrersi di costosi concerti di piazza, mentre la città languiva nell’attesa infinita di una ripartenza in perenne ritardo. Situazione che si è incancrenita, e che il Sindaco ha affrontato con ripetuti rimpasti, nella speranza di correggere gli inevitabili errori dell’inizio. Se una colpa D’Alberto ce l’ha, è quella di non aver avuto la forza di strappare sul nascere le piante infestanti che stavano invadendo il suo giardino politico, a cominciare dal quel Cavallari sul quale, per non annoiarvi, non rinnoverò il mio giudizio negativo, ma ricordo che era l’assessore ai Lavori Pubblici promessi e mai avviati… e che i Lavori Pubblici sono cominciati solo quando se ne è andato. Cavallari ha realizzato quello che sembra essere stato - ormai dopo sette anni lo possiamo dire - il vero credo politico della gianguideria: cercarsi un posto. Di lavoro soprattutto, per sé stessi o familiari e affini fino al sesto grado...( tanto che addirittura in una giovane assenza di ieri, qualcuno avrebbe letto il nervosismo per un posto promesso e non ancora ottenuto), ma anche di ruolo politico, in una disperata rincorsa alla visibilità fine a sé stessa.
Non mi scandalizzo, per carità, è sempre stato così, ma in passato, almeno, mi sembrava di cogliere un qualche barlume di ideologia, una qualche visione, anche se parziale, stavolta no.
Questa è una crisi di persone, prima che politica. D’Alberto si ritrova al centro di una vera e propria guerra di potere che va oltre la semplice lettura del consiglio saltato, ma alla quale quel consiglio saltato sta come l’assassinio dell’Arciduca Francesco Ferdinando sta allo scoppio della Prima Guerra mondiale. Il centro sinistra teramano, ormai orfano del ruolo guida del PD (basti pensare al fatto che il capogruppo consiliare è Pilotti), sta cercando di ridefinirsi “intorno” al Pd, con l’emergere di nuove leadership che magari nello stesso Pd si identificano, ma inevitabilmente confliggono. Sandro Mariani da una parte, Camillo D’Angelo dall’altra, con qualche più debole intromissione di Dino Pepe, stanno ridefinendo i pesi politici si una coalizione che da sette anni amministra questa città, ma sui ritardi della quale tutti concordano.
Anzi: è l’unica cosa che li vede tutti d’accordo.
La crisi della Maggioranza gianguidica è solo all’inizio, quello che è successo ieri è un campanello d’allarme, che va ben oltre il problema dei Musp del Nuovo Delfico (che già nel consiglio di lunedì passeranno), ma che investe tutto il prosieguo della consiliatura… perché mancano più di tre anni… e sono tanti. Sta al Sindaco, adesso, giocare la partita più importante, e ha solo due strade possibili: mettere intorno ad un tavolo le “anime” della sua maggioranza e scrivere un progetto delle cose possibili, senza annunci e feste inutili, oppure togliersi la fascia e andarsene.
Tertium non datur
ADAMO