Giuro, ci ho provato.
Da appena sceso dall’aereo, fino a quando mi sono messo a scrivere queste righe, io ci ho provato.
Ho provato a guardare Dubai senza preconcetti.
Ho provato a scoprire il fascino di questa città.
Ho provato a capire i riferimenti storico - culturali di un popolo colto da improvvisa ricchezza.
Ho provato anche a leggere, nelle pieghe dell’edonismo dubaiano, una sorta di rivalsa nei confronti dell’Occidente.
Ho provato addirittura, giuro e rigiuro, ad interpretare tutto nell’ottica dei percorsi religiosi, il nostro da cristiani e il loro da musulmani.
Poi, è arrivato Alex.
Panza da “cumenda” milanese della Prima Repubblica, pelata alla Montalbano ma alleggerita da un pizzo deciso… insomma, un Bonaccini che ha smesso di fare palestra e ha subito la vendetta dei carboidrati. Accento tra il basso lombardo e l’alto emiliano, parlantina da imbonitore televisivo, con un tono di voce che sovrasta quello di tutti, nella piscina del beach club sulla “palma” Jumeira (l’isola artificiale costruita strappando sabbia al mare). Si avvicina sottolineando il piacere di sentir parlare italiano e subito ci chiede se siamo turisti o residenti. Rispondiamo che siamo turisti e che è la nostra prima volta a Dubai… una risposta che schiude una diga di parole. Parte con il dirci che dal 2007 vive sei mesi a Dubai e sei a New York e poi ci inonda con appartamenti “three bedroom” al Burj Khalifa, attici milionari con 5 camere 8 bagni su un vicino grattacielo colonnato, aragoste a 10 euro al chilo e cozze (sì cozze) ad 80 euro al chilo, Ferrari e Maserati affitate ad ore solo per farsi le foto Instagrammabili, blocchi di ghiaccio in piscina, fugga guru, locali notturni con una porta nel bagno che nasconde - ma solo se conosci - stanze segrete per clienti vip, nelle quali si entra solo a patto di una strisciata da 12mila euro alla carta di credito, fino ad arrivare alla sentenza sulla popolazione autoctona: “Non fanno un cazzo, vengono pagati con un reddito di cittadinanza per guardare I cantieri… e stanno lì come i nostri pensionati in Italia”. Cantieri - spiega Alex - che costruiscono case che resteranno vuote, perché i prezzi ormai sono crollati e la bolla è esplosa. Alex spazia dal vino alle piscine, dagli shooting ad uso social nel deserto agli hotel strastellati, sempre dettagliando prezzi e costi, che a sommarli tutti avremmo sfiorato la decina di milioni di euro.
Confesso che, mentre l’ascoltavo, ho avuto più volte la percezione di trovarmi davanti ad un Manuel Fantoni, l’indimenticabile personaggio del Borotalco di Verdone, quello del cargo battente bandiera liberiana, ma siccome voglio concedermi il beneficio del dubbio, mi tengo solo il nucleo centrale di quello che ha detto, anzi ve lo faccio dire da lui: “Qui non c’è un cazzo da fare o vedere, a Dubai si viene solo per fare affari, accordi e poi godersi una serata da straricchi, altrimenti basta fermarsi due giorni se vai alle Maldive e in due giorni hai già visto tutto”.
Ecco, io ho provato a liberarmi da questa idea, ma quello che dice Alex è il distillato essenziale di quello che penso di Dubai. È un non - luogo, un artificio, un’illusione.
Un miraggio.
Ecco, sì: un miraggio nel deserto, che come tutti i miraggi si nutre dj stupore e per questo genera uba rincorsa all’assurdo possibile. Dubai, in questo, è capitale mondiale, qui tutto è pensato per stupire, ma senza alcuna riflessione sulle modalità dello stupore, l’unica regola è spendere, per poter dire “noi abbiamo il più grande… “ che sia un grattacielo, un Mall, una strada, un museo, non conta… “noi ce l’abbiamo grande”… alla fine è una storia di machismo economico.
Una Las Vegas senza l’America intorno, una Disneyland senza l’ispirazione disneyana, un grandissimo parco giochi nel quale quello che conta non è neanche il divertirsi, ma illudersi di essere nel posto giusto per farlo.
L’illusione, il miraggio. Un ricchissimo nulla col deserto intorno.
Troppi soldi e poche idee.
Metafora perfetta: il Museo del futuro. Costruzione di una bellezza indiscutibilema il museo è una “cagata pazzesca”. A parte la “futuristica” necessità del biglietto stampato su carta, poi passato a mano dalla biglietteria digitandone i numeri, poi scansionato per collegarlo al braccialetto che ti danno, ma che non dialoga con l’app che devi scaricare e che ti offre una guida, ma solo in inglese. Solo in inglese… nel museo del futuro, quando anche sul sito che state leggendo vi basterebbe andare in alto sulla home e scegliere un’altra lingua, per vedere il sito cambiare in tempo reale… invece al Museo del futuro, una guida solo in inglese e arabo. Per non dire del deposito borse, che è obbligatorio e a pagamento, con una sola addetta che digita (anche qui) a mano e con una ricevuta in carta che se te la perdi, il bagaglio resta qui. Ma torniamo al Museo, che accoglie con un cane elettronico che, sulle prime, sembra interessante,poi ti accorgi della ragazza con il telecomando e capisci che anche in un bancomat c'è più intelligenza artificiale che in quel cane. Vedo gente che scatta felice foto ad una balena volante, invenzione così futuristica che... i fratelli Montgolfier lo facevano nel 1780.
Questo non è un museo, ma una specie di attrazione da Gardaland, con effetti speciali pietosi e nessuna visione dei futuro, se non il faraonico progetto di una città in orbita, costruita dagli emiri, ovviamente, una Dubai spaziale alla quale potranno attraccare le astronavi Ferrari e Maserati dei tanti Alex del terzo Millennio. Chi come me ama la fantascienza, non potrà non aver notato migliaia di riferimenti al cinema di genere, dall’immenso Interstellar al riuscitissimo Passengers, dall’immortale 2001 a Star Wars, ma soprattutto a Star Trek, con una povertà di idee, però, che ti fa venir voglia di diventare romulano. Un’attrazione per bambini… ma perché chiamarlo museo?
E del futuro, poi?
Per un cavalluccio marino (finto) in sospensione magnetica?
A Dubai, non c'è niente di futuro. C'è solo la versione moderna di una storia antica, quella degli uomini ricchi e degli uomini poveri. Nessun futuro, tutto già visto.
Tutto... trapassato futuro.
Lascio Dubai senza nostalgia …non mi è mai successo di ripartite da un posto con l’assoluta certezza di non voler tornare mai più… da ogni luogo, anche il più anonimo, ho riportato sensazioni e ricordi… da Dubai solo un immenso senso di vuoto.
Anzi no: un ricordo c’è, un attimo straordinario, nel deserto, col sole al tramonto e il vento che soffiava prepotente. Un attimo assoluto, essenziale, eterno, per me quello sì indimenticabile, anche se - come direbbe Alex… “non c’era un cazzo”.
ADAMO