Mentre scrivo queste righe, sono le 9,30 del 21 giugno del 2025, il nostro “ospite” nigeriano, quello che vive sul Corso e che, da mesi, con una certa disinvoltura, ci prende per il culo tutti, mi si perdoni l’eleganza, ma il primo dovere di un cronista è la verità, e la verità questa è, è di nuovo seduto su un sedile del Teramo - Roma, in viaggio - ancora una volta - verso quell’aeroporto che dovrebbe consentirgli di imbarcarsi su un volo per Abuja, capitale della Nigeria.
Dovrebbe.
Personalmente, ci credo almeno quanto credo che la terra sia piatta.
Ieri sera, dopo l’ennesimo controllo dei Carabinieri e l’ennesimo intervento del Comune, è stato accompagnato all’Hotel Michelangelo, dove avrebbe dovuto ricevere vitto (solo carne e contorno, perché la pasta non gli piace), e alloggio, ma, anche se è stato visto entrare in hotel, non ha passato la notte lì, ma si è allontanato subito, per ricomparire all’alba di oggi e ricominciare la tiritera, fino all’imbarco sul pullman per Roma.
Ripeto, sarei pronto a scommettere che tornerà, ma nell’attesa vorrei provare a fare un po’ di chiarezza. Su di lui, e sulle responsabilità.
Cominciamo da lui.
Chiamandolo per nome: Ozigbo.
È arrivato in Italia il 29 maggio del 2016 ed è stato inserito nel programma di accoglienza, con destinazione al Felicioni Residence di Roseto. Ma è questione di poco, visto che due mesi dopo, il 18 luglio, viene trasferito al Centro accoglienza di Civitella del Tronto. Sei mesi dopo, anche in virtù del suo status di rifugiato politico, viene accolto dal Sai a Roseto, il Servizio Accoglienza e Integrazione che prevede l'accoglienza e la tutela di richiedenti, titolari di protezione internazionale e altri soggetti vulnerabili e che fornisce adeguato sostegno economico e sociale, per garantire almeno il minimo vitale. Ne uscirà, però, il 20 maggio del 2018… o meglio, se ne andrà, dopo essere stato denunciato dagli agenti del Commissariato di Atri, perché aveva sequestrato l’intera equipe della struttura.
Da quel momento in poi, di Ozigbo si perdono le tracce, fino a quando non compare a Teramo, nell’ottobre del 2020.
È possibile che, tra l’uscita dal Sai e la comparsa nel suo ampio monolocale dei portici del Banco di Napoli, abbia fatto una capatina a casa, in Africa, visto che il governo della Repubblica Federale della Nigeria emette, proprio nel 2020, un decreto di espulsione valido per tre anni. Impossibile, per noi, conoscerne i motivi, ma perché si adotti un provvedimento di espulsione triennale, da tutto il territorio dello Stato, certo si tratta di motivi seri.
Torniamo a Teramo, dove Ozigbo vive di accattonaggio, distinguendosi però per comportamenti aggressivi nei confronti di chi gli nega l’elemosina. Comportamenti aggressivi, ma non violenti, fino a due anni fa, quando scatena una rissa con due avventori del Grand’Italia, con intervento del consigliere comunale Franco Fracassa e della Polizia (la foto è tratta da un video di Giancarlo Falconi).
Risultato? Arriva la denuncia (poi sarà anche processato) e un daspo urbano: non può stare sul territorio del Comune di Teramo fino a luglio 2025.
Ovviamente, facendosi forte del suo stati di “rifugiato”, che gli concede una certa “protezione”resta.
E resta tutte le volte che gli rinotificano quel daspo.
E se magari, a volte, sembra allontanarsi, è una finta, perché torna subito dopo.
Non può essere “cacciato”, perché non ha alcuna residenza in Italia, quindi non lo si può “rimandare nel Comune di residenza”.
Quindi, seppur daspato, resta.
Anzi: completa “l’arredamento” del suo monolocale e, di fatto, fa dei portici del Corso la sua casa.
Inutili tutti i tentativi di trovargli una sistemazione diversa: non la vuole. Inutili tutti i tentativi di aprire con lui un percorso di inclusione, magari con l’avvio in qualche progetto di lavoro: non gli interessa. Inutili anche tutti i tentativi di offrirgli un’assistenza sanitaria, perché viene visitato il psichiatria, definito “caratteriale”, ma non presenta patologie da ricovero.
Vuole vivere sul Corso, e quando la situazione si complica, e si fanno più forti i controlli o i tentativi di allontanarlo da Teramo, allora inscena tutta una pantomima già vista: diventa arrendevole e collaborativo, fino a sciogliersi in pianti di disperazione, ma solo alla presenza di agenti in divisa, pervché quando si allontanano le divise, riprende l’arroganza strafottente dell’intoccabile.
Addirittura, per confondere di più la situazione, arriva a chiedere aiuto per tornare a casa, visto che il padre era appena morto.
La caritas acquista il biglietto aereo, il Comune lo mette sul Gaspari per Fiumicino, ma il giorno dopo è di nuovo a Teramo, sostenendo di non essere potuto partire per mancanza di una carta di identità, che il Comune gli nega - giustamente - visto che con quel documento in mano potrebbe poi vantare una residenza teramana.
Inutile dire che la morte del padre era falsa, una provocazione, così come quella di chiedere, per andarsene, «una valigia di vestiti, cibo, due donne e cento milioni di euro».
Ripeto: ci prende per il culo, forte di un vuoto burocratico che gli consente una sorta di immunità, tanto che deve decidere da solo di andar via, ma non può essere accompagnato in aeroporto da Carabinieri o Polizia.
A
desso, le responsabilità
Al di là dell’aspetto umano, questo è un caso paradossale: un’intera città tenuta “in ostaggio” da un ospite sgradito, che non ha alcuna intenzione di essere aiutato, né di essere integrato, né di accettare una condizione di vita più dignitosa, ma vuole vivere di elemosina dormendo sul Corso, pur avendo già meritato un provvedimento di espulsione dalla città e assumendo, sempre più spesso, atteggiamenti che sembrano dimostrare un’aumentata aggressività.
La colpa non è del Comune che, anzi, con l’assessora Stefania Di Padova, paziente fin oltre quello che sarebbe stato il mio limite massimo di pazienza, ha tentato ogni possibile via di dialogo e proposto ogni possibile soluzione, incontrando solo chiusura totale e finta disponibilità.
La colpa non è delle forze dell’ordine, che fanno quel che devono ma, leggi alla mano, non possono far altro che continuare a notificare atti e provvedimenti ad un soggetto che non ha alcuna intenzione di leggerli, tantomeno di rispettarli.
La colpa non è della macchina sanitaria, perché pur riconoscendo un disagio, allo stato attuale non lo considera tale da pretendere un intervento terapeutico.
E allora, di chi è?
Risposta facile, quasi populista: dello Stato.
Di uno Stato che, forse con una sottintesa idea destrorsa di coltivare l’odio contro il “diverso” e lo “straniero”, non facilita la gestione di casi come questi, anzi: sembra volerne amplificare la portata negativa, proprio per demolire le spinte “integratorie” care alla Sinistra. Un gioco non dichiarato, che muove grandi interessi, che crea consenso se ben orientato e che però, sui territori, umilia esseri umani in difficoltà e mortifica l’attenzione vera di amministratori che cercano di trovare soluzioni.
Ad affrontare questa vicenda, dunque, dovrebbe essere l’unica voce pubblica che, fino ad oggi, non abbiamo ascoltato, quella che è, per definizione, la più autorevole delle voci e che, in quanto voce dello Stato, potrebbe e dovrebbe andare oltre la rigida lettura delle carte e trovare materiale per riempire quel vuoto burocratico - legislativo - amministrativo che, in questo momento, costringe un’intera città a patire le intemperanze arroganti di un ospite sgradito e, potenzialmente, pericoloso.
Quando leggerete queste righe, Ozigbo sarà probabilmente già arrivato a Roma, dove dovrebbe restare fino a venerdì prossimo, quando partirà il volo per la Nigeria.
Sono sicuro che tornerà a Teramo prestissimo.
Nell’attesa, qualcuno potrebbe andare a suonare al campanello del Prefetto e vedere se è in casa?
ADAMO