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Nel precedente articolo “controcorrente” (LEGGI QUI) mi domandavo:

Com’è possibile discutere dei referendum se non c’è alla base neppure la conoscenza  da parte della maggioranza dei cittadini della votazione del 12 giugno?

Ma il titolo dell’articolo pubblicato il 3 giugno, contiene già una risposta a tale retorica domanda:  SUI REFEREMDUM CALA Il SILENZIO.

No, il risultato della (non) votazione non stupisce affatto e semmai conferma la gravità della crisi della nostra democrazia: è ingiusto rimproverare e colpevolizzare il popolo italiano per non essersi recato alle urne, quando la maggioranza della popolazione non aveva neppure notizia della votazione e, in ogni caso, non era stata informata sul contenuto e l’importanza dei quesiti referendari.

A completare l’opera della censura, si è poi aggiunta la disinformazione di regime:

“i referendum contengono quesiti troppo difficili”, tanto “difficili” da non aver   consentito che fossero spiegati in TV in maniera adeguata;

“ci penseremo noi in Parlamento”, oppure “ci penserà il ministro Cartabia”, cioè come dire che “se vogliamo che tutto rimanga com’è bisogna che tutto cambi”…

Eppure la questione giustizia rappresenta oggi il momento più grave del dramma della nostra democrazia.

Una crisi che colpisce prima di tutto la magistratura, i cui vertici associativi, arroccati su posizioni corporativistiche, a partire dal 1992 hanno assunto un ruolo politico primario, al punto da stravolgere e mortificare quello che dovrebbe esser il ruolo sacrale di un ordine super partes.

Ma una magistratura dominata dal sistema clientelare delle correnti e quindi politicizzata, fa comodo soprattutto a quei partiti che vedono nell’azione penale uno strumento di lotta politica e quindi, complici i media di regime, hanno osteggiato la votazione popolare.

Una convincente chiave di lettura su quanto accaduto il 12 giugno è offerta dallo scandalo Palamara, quando l’ex magistrato nel libro “Il Sistema” spiega il “collateralismo”:

 ... se sei collaterale al Pci-Pds-Pd sei un sincero democratico e un magistrato libero e indipendente; se sei collaterale a Renzi via Lotti, a Berlusconi via Nitto Palma o a Salvini via non so chi, allora sei un traditore dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura e devi essere cacciato come infame ....

Al giornalista Sallusti che gli chiede eravate, siete stati convinti di essere così potenti? Luca Palamara risponde:

Le spiego una cosa fondamentale per capire che cos'è successo in Italia negli ultimi vent'anni. Un procuratore della Repubblica in gamba, se ha nel suo ufficio un paio di aggiunti e di sostituti svegli, un ufficiale di polizia giudiziaria che fa le indagini sul campo altrettanto bravo e ammanicato con i servizi segreti, e se questi signori hanno rapporti stretti con un paio di giornalisti di testate importanti e soprattutto con il giudice che deve decidere i processi, frequentandone magari l'abitazione..
Ecco, se si crea una situazione del genere, quel gruppo e quella procura, mi creda, hanno più potere del Parlamento, del premier e del governo intero. Soprattutto perché fanno parte di un «Sistema» che lì li ha messi e che per questo li lascia fare, oltre ovviamente a difenderli.

Un “sistema” che, purtroppo, si è spinto sino al punto di concepire l’esercizio dell’azione penale e l’uso delle indagini,  quali strumenti per colpire l’avversario politico, come dimostra l’ormai noto scambio di messaggi “whatsapp” tra lo stesso Palamara e l’ex collega Paolo Auriemma:

'Mi dispiace dover dire che non vedo veramente dove Salvini stia sbagliando. Illegittimamente si cerca di entrare in Italia e il ministro dell'Interno interviene perché questo non avvenga. E non capisco cosa c'entri la Procura di Agrigento''. La risposta di Palamara: ''Hai ragione. Ma adesso bisogna attaccarlo''.

Quali e quanti sono ancora i casi giudiziari in cui il connubio politica - magistratura ha portato all’incriminazione e in alcuni casi alla condanna di persone innocenti?

Una riflessione critica merita l’anomalo fermo dei “fascisti”, presunti (ma improbabili) “assalitori” della sede centrale della CIGL, il giorno 9 ottobre 2021.

Un fermo che s’inserisce, con prepotenza, nella favola propagandata dal regime, secondo cui a contestare il cosiddetto “green pass”, strumento utile solo per il controllo sociale ma non certo per prevenire il contagio da Covid”, sarebbero stati i “non vax” e i “fascisti” e non piuttosto una parte rilevante della popolazione.

Vi è stato qualcosa di bizzarro nella rappresentazione mediatica delle iniziative politiche di reazione ai recenti provvedimenti del governo, esemplificata dalla banalizzazione con cui tutti coloro che hanno sollevato dubbi su un vaccino ancora sperimentale sono stati facilmente liquidati come "No vax" e “fascisti, quasi a voler  suggerire l'idea che si tratti estremisti fissati con posizioni antiscientifiche nei riguardi della totalità dei vaccini e non piuttosto individui perplessi riguardo a un vaccino in particolare.

È allora accaduto che tutto ciò che non appariva conforme a tale narrazione di regime sia stato semplicemente rimosso, come dimostra la ritrattazione dell’annotazione di servizio redatta alle ore 6.00 del 10 ottobre 2021 negli uffici della DIGOS di Roma a firma di alcuni ufficiali di P.G. presenti alla manifestazione del 9 ottobre:

"... ATTESA L'INSISTENTE RICHIESTA DI EFFETTUARE UN CORTEO DA PARTE DI NUMEROSISSIMI MANIFESTANTI ATTESTATI NELLA CITATA PIAZZA, È STATO LORO PERMESSO DI EFFETTUARE UN PERCORSO DINAMICO VERSO LA SEDE DELLA CGIL, CIO’, AL FINE DI OTTENERE UN INCONTRO CON UN RAPPRESENTANTE DELLA SUINDICATA SIGLA SINDACALE …”

Quindi, se la lingua italiana ha ancora un senso, la DIGOS ha documentato l'esistenza di un PERMESSO concesso ai manifestanti per sfilare in corteo sino alla sede della CIGL.

Una verità ( a dir poco) scomoda e contrastante con la narrazione di regime, “rimossa” prima dal ministro Lamorgese nel corso del suo intervento in Parlamento e poi ritrattata durante il processo celebrato nell'aula bunker di Rebibbia dal funzionario della DIGOS primo firmatario della citata informativa, nonostante le "contestazioni" mosse persino dal Presidente del Tribunale dott.ssa Nicchi:

“QUESTO E’ ITALIANO E VUOL DIRE UNA COSA DIVERSA DA QUELLA CHE CI DICE ORA...” (vd. h. 1.59 della registrazione di Radio Radicale: http://www.radioradicale.it/scheda/667444/processo-luigi-aronica-ed-altri-assalto-alla-sede-della-cgil-avvenuto-il-9-ottobre?i=4422561)

Come dire che, “se tutti i documenti raccontavano la stessa favola, ecco che la menzogna diventava un fatto storico, quindi vera”. (cit. Orwell 1984)

Non stupisce, allora, il fatto che la maggioranza dei cittadini percepisca ormai l’ordine giudiziario come un corpo fortemente politicizzato e nutra grande sfiducia e persino timore quando, suo malgrado, è costretta a ricorrere ai tribunali.

Peccato, perché quelle riforme, proposte sia pure nei limiti derivanti dalla natura abrogativa dei referendum,  erano e restano indispensabili anche e soprattutto nell’interesse della magistratura, mentre i quesiti referendari sono stati concepiti e proposti, non già come tentativo di riforma “contro” la magistratura, ma affinché quest’ultima possa recuperare l’autorevolezza,  la credibilità e il prestigio perduti.

 

                                                             Vincenzo di Nanna

 VINCENZODINANNA