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Com’è possibile discutere dei referendum se non c’è alla base neppure la conoscenza  da parte della maggioranza dei cittadini della votazione del 12 giugno?

Eppure i referendum hanno fatto la storia della Repubblica e sono stati oggetto dei più partecipati ed importanti dibattiti del paese.

È vero, non siamo più negli anni ’70, ma la questione giustizia rappresenta oggi il momento più grave del dramma della democrazia italiana.

Il cittadino che ha la sventura oggi d’entrare in un’aula di tribunale per chiedere giustizia, potrà dirsi fortunato se non ne uscirà massacrato.

Ma è una crisi che colpisce prima di tutto la magistratura, i cui vertici associativi, arroccati su posizioni corporativistiche, a partire dal 1992 hanno assunto un ruolo politico primario, al punto da stravolgere e mortificare quello che dovrebbe esser il ruolo sacrale di un ordine super partes.

La scandalo Palamara ha semplicemente messo a nudo un sistema clientelare che, come un cancro, a divorato la magistratura e quindi la sua credibilità come potere indipendente.

Da qui l’urgente necessità di riforme che un parlamento impantanato in un immobilismo cronico che si trascina da trent’anni, non può e non vuole fare.

Sia chiaro una magistratura associativa dominata dal sistema clientelare delle correnti e quindi politicizzata fa comodo, soprattutto a quei partiti che vedono nell’azione penale uno strumento di lotta politica e ora, complici i media di regime, intendono boicottare la votazione popolare.

È questa la vera ragione dell’assordante silenzio calato sui referendum del 12 giugno?

Oggi, purtroppo, la maggioranza dei cittadini, soprattutto dopo lo scandalo Palamara, percepisce l’ordine giudiziario come un corpo fortemente politicizzato e nutre grande sfiducia e persino timore quando, suo malgrado, è costretta a ricorrere ai tribunali.

La preoccupante ed evidente connotazione corporativistica ha inoltre portato a percepire la magistratura, addirittura come un corpo estraneo alla società, un pericolo per la stessa democrazia.

Le riforme sono dunque indispensabili anche e soprattutto nell’interesse della magistratura, e i quesiti referendari sono stati concepiti e proposti, non già come tentativo di riforma contro la magistratura, ma affinché quest’ultima possa recuperare l’autorevolezza,  la credibilità e il prestigio perduti.

È dunque fondamentale recarsi alle urne il 12 giugno.

Sia chiaro, i quesiti superstiti non rappresentano certo una riforma completa e organica a causa dei limiti derivanti dalla natura abrogativa dei referendum, ma possono tracciare una direzione da seguire, e così costringere il parlamento a uscire dal pantano dell’immobilismo in cui si trova da decenni.

Il vero quesito su cui i cittadini potranno esprimersi è allora questo:

volete che la giustizia rimanga così com’è, o ritenete si debba imprimere un netto cambio di direzione?

Vincenzo di Nanna