“La degradazione di Teramo”. Questo era l’argomento al quale il 7 febbraio 1914 il giornale teramano “L’Italia Centrale”, diretto da Giovanni Fabbri, dedicava un articolo in prima pagina, per lamentare il fatto che la funzione di città capoluogo che aveva Teramo fosse stata compromessa da un provvedimento governativo che offendeva ed umiliava la dignità dei teramani. Era un fatto increscioso.
Noi teramani d’oggi, che abbiamo tanto da lamentarci per aver perduto quasi tutto ciò che avevamo, e ne facciamo gran pianto, gridando ai quattro venti (ma senza che alcuno ci ascolti) che stiamo perdendo il ruolo di città capoluogo diventando un borgo o un grosso paesone senza peso politico, non possiamo che incuriosirci e chiederci: ma di che cosa si lamentava Teramo nel 1914? Che cosa le era stato tolto? Che cosa le era stato sottratto, tanto da dover dire che aveva verso la dignità? Il giornale lo spiegava bene. Il governo con un apposito disegno di legge aveva accresciuto lo stanziamento previsto per le cucine economiche portandolo a 500.000, ma di questo mezzo milione Teramo si era visto assegnare solo la millesima parte. Nel passato a Teramo era stata assegnata la somma di 1.000 lire, ora, nonostante lo stanziamento portato a mezzo milione, Teramo aveva avuto solo 500 lire in più. Ma che cosa erano le cucine economiche? Consisteva in un aiuto alimentare alle famiglie bisognose e in difficoltà, delle quali il ministro Coppino nel 1897, in una sua relazione al parlamento, aveva detto che avevano recato alle classi non abbienti e perturbate un valido sollievo.
“L’Italia Centrale” se la prendeva con il rappresentante politico teramano, la cui inettitudine dimostrava quanto non gli importasse l’umiliazione subita da Teramo come capoluogo di Provincia. Anzi, aveva fatto di più. Aveva cercato di far passareper un successo quello che era anche per lui uno smacco politico. Il giornale faceva un raffronto: Città Sant’Angelo, un comune della Provincia di Teramo, aveva avuto 1.500 lire per le cucine economiche. Non che non le meritasse, ma, in proporzione, per giustizia distributiva, avendo Teramo una popolazione tre volte più numerosa, avrebbe dovuto avere 4.500 lire. Oltre ad essere capoluogo di Provincia, Teramo aveva un numero di poveri di gran lunga maggiore, di Città Sant’Angelo, che poteva essere definito un paese fortunatamente più agiato.
L’articolo si concludeva con un altro attacco al rappresentante politico teramano in parlamento, uno dei piccoli grandi uomini che si proponevano di rinnovare il mondo con le loro virtù, con la loro autorità e la loro sapienza, ma pregiudicavano gli interessi morali e materiali di Teramo, che restava degradata al millesimo posto. Il deputato accusato da “L’Italia Centrale” era Guido Celli, socialista e massone, che era stato eletto nelle elezioni del 1913, giornalista de “Il Messaggero” curatore della rubrica “Note a margine” nota a livello nazionale, che “L’Italia Centrale” aveva aspramente combattuto in campagna elettorale, in contrapposizione al giornale concorrente, il “Corriere Abruzzese”e sostenendo la candidatura alternativa del deputato Antonio De Benedictis.
“La degradazione di Teramo”. Chi ne scriveva nel 1914 non sapeva che ben altre degradazioni attendevano Teramo capoluogo di provincia, spogliato nel 1927 di metà dei suoi paesi, per lo più dell’area vestina, per consentire la nascita della provincia di Pescara, e successivamente di altre funzioni e di altre realtà, che hanno impoverito sempre di più una città che ha perso via via importanza, fino a quando non è scomparsa anche come collegio elettorale. La “degradazione” prosegue, e ogni giorno aumenta, la città perde pezzi e valore, il centro storico si estingue, si spopola, la vita langue, con l‘espulsione dei residenti, cacciati via dall’abbandono delle scuole e dalla proliferazione di cantieri che quando saranno ultimati non vedranno nulla più rimasto se non un deserto.
ELSO SIMONE SERPENTINI