Nella sua “Introduzione storico artistica agli studi del piano regolatore della città di Teramo” (Teramo, Casa Editrice Tipografica Teramana, 1934-XII) Luigi Savorini scriveva che le origini di Teramo rimanevano perdute nel buio dei secoli e non si aveva altro che leggende, più o meno attendibili, così come quelle sul nome stesso della città: Interamnia, ossia “inter amnes”, fra due fiumi. Teramo era effettivamente posta al confluente di due corsi d'acqua: l'Albulata e il Batinus, in seguito chiamati Vezzola e Tordino. Altre città avevano in antica questo nome, tanto da dover precisare che si trattava di Interamnia preatutianorum. Savorini scriveva ancora che dalla sua postura Teramo non poteva derivare grande importanza, ma aveva tratto ragione di vita acquistando stabilità e sicurezza di graduali progressi. I due fiumi in realtà erano sempre stati poco più che due torrenti, non vi era la possibilità di risalirli dal mare, neppure per breve tratto, ma si offrivano ugualmente come vie di comunicazione, in quanto sulle rive dei fiumi e sul greto degli antichi torrenti erano corse le prime strade.
Nel teramano tra tanti “abruptos montes”, l'Albulata e il Batinus scendevano come due ampi camminamenti da varie bande della montagna. Compiuta questa prima funzione, s'unificavano in una sola grande via maestra conducente al mare ed il confluente non era, come altrove, tra forre impraticabili e dirupi scoscesi, ma al principio di un'ampia vallata, in un pianoro verdeggiante che invitò prima alla sosta e al riposo, poi al convegno, quindi alla stabile dimora ed al congresso civile.Nella piccola metropoli dei Pretuziani si era stabilito il “conciliabolo” menzionato da Frontino, cioè un luogo in cui un popolo autonomo s'adunava per trattare e deliberare sui comuni interessi. Esso non si era limitato al breve tratto del confluente dei due fiumi mentovati, ma era proseguito oltre, verso il mare, all'incontro di un altro confluente, quello di Fiumicino. Fin là giungevano, e lo attestavano i resti archeologici, le ville e le case dei Pretuziani.
Savorini scriveva che non era ozioso ricordare questi remotissimi precedenti, in materia di piani regolatori. Se il piano regolatore d'una città doveva essere anzitutto in piena rispondenza alle sue tradizioni storiche ed alle condizioni naturali, era bene tener presente che la ragion d'essere di Teramo, come nel suo passato più che millenario, era proprio “il conciliabolo” del territorio pretuziano, nè alterazioni circoscrizionali, nè limitrofe apparizioni di nuovi centri più o meno cospicui avrebbero potuto mai stornare o minimamente turbarlo (il conciliabolo corrisponde nella visione di Savorini alla funzione di capoluogo, che secondo lui Teramo doveva assolutamente conservare).. La corrente di vita che la natura con le sue immutabili leggi aveva stabilito che Teramo, posta tra la montagna e il mare, sarebbe stata sempre un centro propulsore e vivificatore. Altre città, arroccate su alture troppo eccelse, potevano veder compromesso il loro avvenire per il deviamento delle correnti commerciali verso i piani e le marine, ma Teramo, situata in un pianoro di facile accesso, a soli 265 metri sul livello del mare, in un punto di passaggio obbligatorio, per lo sfocio di tante valli, in un vero e proprio nodo stradale, non aveva nulla da temere. La corrente che le aveva dato vita, se non era ancora poderosa, era per lo meno costante e tale da resistere ad ogni tentativo di deviazione, tale anche da determinare, sia pure lentamente, gli ulteriori sviluppi. Lo dimostrava l'espansione che Teramo aveva avuto, con incertezza, è vero, ma con continuità, dal 1860 in poi, dopo le miserie e il travaglio di tanti secoli. Le necessità d'ingrandimento avevano portato alla creazione di nuovi quartieri (Stazione, Castello, Madonna della Cona) e nella costruzione, pur troppo non regolata, di nuovi edifici alla periferia.
Il nuovo piano regolatore, secondo Savorini, avrebbe dovuto dare una disciplina a questo movimento di assestamento e di espansione, rettificando gli ampliamenti dilagati a casaccio dalle vecchie cinte murarie. Avrebbe dovuto anche all'interno adeguare l'antico organismo alle profonde mutazioni della vita moderna, e il compito non era difficile, data la semplicità di struttura di tutto il vecchio nucleo urbano. Ma non avrebbe dovuto limitarsi a questo, occorreva anche vigilare, preordinare, difendere i movimenti ulteriori. Molte condizioni erano mutate, le nuove forme di comunicazioni, di trasporto, di accentramento erano cambiate e non in eguale misura per ogni luogo o regione.
In antico, quando si usciva a piedi, o al massimo su cavalcature, dalle grandi come dalle piccole città, da Roma come da Interamnia, c'era qualche cosa che limitava gli sforzi ed equilibrava le gare di ogni sorta. Le sproporzioni d'incremento fra una città e l’altra si determinavano con processo assai lento. Ma attualmente chi tracciava, tracciava più strade, chi aveva mezzi più celeri era destinato a progredire e la mentalità economica prevalente era purtroppo quella dei commessi viaggiatori che si fermavano alle stazioni del litorale o a qualche campo di fiera più accessibile nel giro accelerato dei loro affari. Le differenziazioni di sviluppo tra una città e l'altra ora procedevano con ritmo vertiginoso e spesso a balzi improvvisi. Bisognava lottare contro siffatti sbandamenti, riguadagnare le posizioni perdute, crearne delle nuove. Il nuovo piano regolatore, perciò, avrebbe dovuto provvedere agli smistamenti interiori della città, ma anche agli allacciamenti esteriori. Teramo non era una città radiale, come le città della pianura lombarda ed emiliana. Le “ripe” fra le quali si trovava erano basse, dolci e facilmente sormontabili, tanto che già più d'un ponte le congiungeva alle colline prospicienti e queste, alla loro volta, non erano di una natura tanto aspra da non poter essere in qualche punto esser corretta, né presentavano difficoltà da non poter essere superate. Già lungo la Vezzola, alle falde delle apriche Coste di Sant'Agostino, la strada che vi era sorta invitava alla formazione di un nuovo quartiere che avrebbe potuto essere il più salubre della città. Era possibile una svolta, bisognava uscire dalla vecchia cerchia, non rimanere in attesa degli altri, ma andare incontro alle antiche come alle nuove popolazioni, aprire nuovi varchi, per facilitare i contatti, per convogliare le nuove correnti, per allargare il respiro. Occorreva provvedere a che ogni nuova via aperta al transito interno od esterno fosse proprio quella voluta dal nuovo spirito di espansione, una via su cui potesse correre non soltanto un veicolo, ma una intenzione, un miraggio, una volontà! Teramo, e ne era un segno lo sviluppo automobilistico, per cui aveva il primato fra le consorelle abruzzesi, aveva queste possibilità, ardeva impaziente di queste volontà. Soltanto così il piano regolatore della città nostra si sarebbe uniformato a quello che doveva essere il suo principio fondamentale: rendere sempre più rispondente al suo eterno destino, quello di essere il “conciliabolo” dell'agro pretuziano.
Elso Simone Serpentini