E allora da modesto - e talvolta fallace -osservatore delle cose locali voglio oggi puntare il dito contro una di quelle tendenze che impediscono ad una comunità di crescere davvero. Parlo della mediocrità, di quella condizione che, alla fine della suonata, fa ritenere se stessi, o addirittura un insieme, paghi di quelle capacità, attitudini e doti d’ingegno, che in realtà posseggono in maniera molto scarsa.
Le forme di questa mediocrità sono molteplici, in ogni campo, e tutte possono essere riassunte nel grigiore amorfo e inetto di una comunità che non ha mai slanci emotivi, moti di indignazione, proiezioni entusiastiche. Tutto accade e tutto passa.
Forse, il primo vero afflato luminoso degli ultimi anni, lo si è visto proprio in occasione della vicenda del liceo Delfico, quando un movimento diffuso dal basso ha fatto sentire la propria contrarietà a ciò che stava (e sta ancora) accadendo.
A dirla tutta, però, il rischio è che, passato il primo momento emotivo e scoraggiati dal muro di gomma dei referenti, tutto possa sgonfiarsi come un pallone bucato e lasciare campo libero alle consuete speculazioni dei soliti protagonisti abituati a mettere il cappello e il selfie ormai su ogni cosa.
Succede così che si naviga nell'ozio delle ambizioni, delle speranze e delle prospettive. Per dirla in altro modo, succede che una specie di tossico DNA contamini i più e faccia ammalare la bellezza dell'identità locale. Ne consegue che non ci si appassioni più, che manchi l'urlo lacerante, che tutto ciò che accade attorno ma anche lontano, scorra via. Il trionfo della mediocrità, appunto: quell'indifferenza mista a sciatteria, quella chiusura mista a distrazione, quella complicità mista a colpevolezza.
Capita perciò che l'appiattimento divenga consuetudine e che perfino non-notizie vengano spacciate come necessarie (può bastare, come esempio, quella dell'acquisto di uno sfalciaerba?) replicate, nel quadro della mediocrità, da compiaciuti organi di informazione, specchio evidente della società che raccontano.
AMLETO