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Ombert Non so voi, ma io avverto che dalle nostre parti si sta verificando un salto d’epoca.
Non mi avventuro in improbabili analisi sociologiche o antropologiche ma voglio solo dar retta ai miei occhi e, un po', anche al mio cuore.  Dove siamo finiti? Dove stiamo andando ? Parlo di noi, di Teramo, dei teramani.
Non so voi, ma io ho l'impressione che molto si sia perso, anzi: che molto si stia perdendo. Ora, oggi, nel nostro tempo. No, non è, questa, una operazione-nostalgia, anzi credo sia tanto inevitabile quanto giusto che la contemporaneità prenda il suo passo e proceda inesorabilmente. Quando, però, questa contemporaneità non trova ponti ma macerie, quando non ha le basi su una visione di prospettiva ma poggia su un progetto di smantellamento; quando devasta anziché costruire, essa è barbarie, danno, furore irriverente; quando il vandalismo si ammanta di bonomia e la nefandezza civica sembra far eco alle nefandezze di interi altri territori, allora un mondo, un luogo, una identità, muoiono. Questa città la trovo così diversa da ciò che è stata, ne ho perfino una sensazione fisica!  Non riconosco, nel presente, i segni, il carattere, le caratteristiche che le appartenevano, e mi angoscia il vedere che pare non esserci argine ad una deriva che omologa tutti, individui e comunità, al dio della superficialità e ai suoi sacerdoti, corifei della evoluzione inarrestabile di una modernità spersonalizzata.  È che non trovo più l'anima di Teramo, forse svenduta ad un affarismo arraffone, ad una politica vuota e infingarda, ad un attivismo da operetta, ad un giovanilismo vecchissimo, ad un arrivismo senza prospettive. Siamo senza intellettuali, senza capitani d'industria, senza maestri, senza esempi, senza ricordi, senza politici, senza paure - eccezion fatta per pochissimi esempi.
E il timore è che si tratti di una perdita progressiva, condivisa nella teoria e nella prassi, che riguarda i comportamenti ma anche lo stile, la vita individuale e quella collettiva. Non ritroviamo più nello smarrimento dell'ironia, nella perdita del dialetto, nell'abbandono dei riti religiosi e laici, nella latitanza di spazi, luoghi e tempo, nella sconfitta della movida di  importazione e in quella della solidarietà da selfie, non ritroviamo più la gioviale esuberanza di una città fiera e  unica, inimitabile, ricca di una sua speciale bellezza.
Non so voi, ma io credo che qualcosa stia cambiando.. se mi volto indietro, riconosco le tracce del mio percorso, il passato mio e di molti altri ma mi assale l'inquietudine di non riconoscere più il luogo che era mio.
AMLETO