Una domanda: vogliamo ripercorrere ancora il quaderno delle doglianze e tornare a ripetere l’elenco (sempre da aggiornare, peraltro) di tutto ciò che rende la “città aperta al mondo” una città chiusa a sé stessa?
No, è un esercizio facile, ormai scontato; credo sia più utile provare a fare qualche ragionamento sulle cause e sugli effetti di una condizione così devastata, nella quale si assiste quotidianamente ad una deriva al ribasso, delineata da degrado, sporcizia, insolenza, incompiutezza, abbandono, sciatteria. C’è un denominatore comune che unisce i mali del presente, sintetizzabile in una parola: impoverimento.
Parlo del graduale e progressivo inaridimento sociale, economico, culturale, ambientale, provocato dall’abbandono e dall’incuria.
Si tratta di una condizione a volte dettata dalla contingenza, ma quasi sempre causata dall’inettitudine e dalla incapacità.
O forse da un disegno, da una strategia che guarda lontano, anche se – onestamente – la pochezza dei protagonisti, lascia qualche sincero dubbio sulle loro capacità tattiche e lungimiranti.
Eppure, pare esserci una logica in questa malìa, pare che esista un progetto di depauperamento del centro urbano (in particolare di quello storico) e con esso della sua energia vitale; è più che un sospetto. Nessuna ricostruzione dei beni pubblici è stata avviata, eccezion fatta per un paio di progetti, peraltro quasi fermi al palo; la vita economica, nelle sue articolazioni di commercio industria artigianato, è vessata, umiliata, praticamente annullata.
Di prospettive culturali degne di un capoluogo di provincia, manco a parlarne.
Ma sto per ricadere nell’errore della lamentazione. Ora voglio gettare lo sguardo più in là, e chiedermi il perché del susseguirsi di fatti situazioni e combinazioni che potenziano l’effetto di una città privata della sua forza, spolpata della sua sostanza, negata nelle sue opportunità.
La spoliazione di ogni prospettiva futura -ché di tanto si tratta- non proietta la comunità e il territorio da nessuna parte; e ciò assume una rilevanza storica, come se davvero l’involuzione di cui siamo testimoni e vittime, alimentasse il timore che le macro non-scelte di questi anni, combinate con i macro nefasti accadimenti, siano riconducibili, come in un chiaroscuro, alla volontà di appropriazione delle facoltà decisionali dei cittadini, delle attitudini peculiari del territorio, del diritto collettivo al benessere.
Pare di poter dire che l’incapacità che ci condanna, si sposi con la scelta scellerata di conquistare il comando, prevaricando uomini, situazioni, storia e storie.
E che questo accada con una operazione sibillina, condotta furbescamente.
Come può succedere tutto questo, senza che monti uno spontaneo moto di indignazione?
AMLETO