"Si vive meglio da noi (rispetto alle grandi città, alle metropoli, ndr); lo dico con profonda sincerità e con profonda ammirazione per chi ha fatto sì che tutto questo accadesse: teatri aperti e civili, mostre europee, stagioni liriche, scuole che funzionano, problemi di urbanistica, gerontologia, gravi e meno gravi, ma tutti vissuti con un'ansia civile che a me - che ritorno da cittadino innamorato della mia città, sebbene straniero per tutti gli anni vissuti lontano da essa - appaiono in una luce magica, in una luce incredibile (..) ai giovani voglio dire: oggi questa città è ancora più amabile, fate in modo che continui ad essere così, per la gioia nostra e per la gioia di tutti”.
Le parole pronunciate dall’attore Romolo Valli, scomparso nel 1980 nel pieno della sua carriera, sono un pugno nello stomaco.
Le pronunciò in occasione dell’omaggio che Reggio Emilia gli concesse per il 25ennale della carriera. Piene di amore e tenerezza, erano parole con le quali descriveva la sua città, decantandone le qualità che la rendevano di straordinaria bellezza e dove vivere era gratificante e piacevole.
E ancora oggi è così: la città emiliana, una provincia di circa centosettantamila abitanti, è straordinariamente interessante e viva.
E sono un pugno nello stomaco, appunto, se pensiamo alla nostra, di città, per la descrizione della quale potrebbero valere le stesse parole ma declinate al contrario.
E l’amarezza e lo scoramento si impongono pure se ricordiamo che Teramo, nella sua storia anche recente, poteva vantare un invidiabile fervore culturale, una preziosa animosità e, soprattutto, quella “luce magica” che fa di ogni luogo non un posto scontato ma un posto da vivere, non un luogo da subire ma un luogo in cui essere protagonisti.
Una città è ciò che di essa fanno gli abitanti; ma chi la guida, ha il dovere e il compito di non tradire la vocazione e le attese, di non perdere né disperdere quell’ansia civile che regola le scelte e indirizza le azioni. E di non ridurre gli stessi cittadini a tasselli governabili a piacimento nella impalcatura civile e civica; manipolati con astuzia, per fini sempre più individuali e distanti dalla gioia nostra e di tutti.
La politica per prima, ma anche l’economia, l’informazione, la cultura, l’associazionismo, dovrebbero adoperarsi per rendere la città più amabile, non per dipanare in essa la mediocrità, come declinazione del presente e prospettiva per il futuro. Vivere meglio da noi, è possibile?
Forse ancora sì, se non lasciamo che scompaia la sostanza di cui siamo fatti tutti, il marchio costitutivo della nostra gente, per finalmente riappropriarci della bellezza oggi perduta.
AMLETO