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VENTURONI 1Cinque anni di reclusione a testa per l'ex assessore regionale Lanfranco Venturoni e per l'imprenditore Rodolfo Di Zio, un anno e sei mesi per il deputato di Forza Italia Fabrizio Di Stefano, assoluzione per non aver commesso il fatto per l'imprenditore Ferdinando Ettore Di Zio, assoluzione perché il fatto non costituisce reato per l'ex amministratore delegato della società Team Teramo Ambiente, Vittorio Cardarella e una multa di 100 mila euro per la società Deco del gruppo Di Zio. Sono le richieste formulate oggi, nel tribunale di Pescara, dai pm Gennaro Varone e Anna Rita Mantini,nell'ambito del processo sui rifiuti, nato da un'inchiesta del 2008. La vicenda giudiziaria ruota attorno alla realizzazione di un impianto di bioessiccazione a Teramo.Le accuse, a vario titolo, sono corruzione, istigazione alla corruzione, abuso d'ufficio, peculato, turbativa d'asta e millantato credito. I pm, inoltre, hanno chiesto l'assoluzione per Venturoni e Rodolfo Di Zio da uno degli episodi di corruzione contestati al capo g. "È una sentenza politica". Sono le uniche parole pronunciate dall'ex assessore regionale Lanfranco Venturoni, presente in aula nel tribunale di Pescara, dopo la richiesta di condanna a 5 anni di reclusione formulata dai pm Gennaro Varone e Anna Rita Mantini, nell'ambito del processo sulla cosiddetta rifiutopoli. "Il processo ha dimostrato l'esistenza di un patto tra l'imprenditore Rodolfo Di Zio e l'ex assessore regionale Lanfranco Venturoni, finalizzato alla concessione senza gara, a beneficio della Deco di Di Zio, di una serie di appalti da centinaia di milioni di euro, tra i quali quello per la costruzione di un inceneritore e quello per la realizzazione di un impianto di trattamento biologico". Èquanto ha sostenuto questa mattina, nel tribunale di Pescara, il pm Gennaro Varone, nel corso della sua requisitoria durata circa due ore, nell'ambito del processo "rifiutopoli". Subito dopo il pm Anna Rita Mantini, co-titolare dell'inchiesta nata nel 2008, ha rafforzato le posizioni dell'accusa con una disquisizione di natura giuridica e giurisprudenziale. Il procedimento vede imputati l'ex assessore alla Sanità regionale Lanfranco Venturoni, il deputato di Forza Italia Fabrizio Di Stefano, l'ex amministratore delegato della società Team Teramo Ambiente Vittorio Cardarella, gli imprenditori Rodolfo e Ferdinando Di Zio e la società Deco del gruppo Di Zio: gli imputati devono rispondere, a vario titolo, di corruzione, istigazione alla corruzione, abuso d'ufficio, peculato, turbata libertà degli incanti e millantato credito. Sotto la lente dell'accusa, circa un milione di euro di finanziamenti elargiti da Di Zio ai partiti ed in particolare ad esponenti di Forza Italia e del centrodestra abruzzese. "Nel momento in cui risulta dimostrato che quelle somme sono servite a pagare un favore illecito - ha rimarcato Varone - il fatto che i finanziamenti siano stati dichiarati non esclude il reato di corruzione". Varone ha citato i finanziamenti che Di Zio ha versato a Fabrizio Di Stefano, all'ex presidente della Provincia di Chieti, Enrico Di Giuseppantonio, all'ex consigliere regionale Emilio Nasuti, al consigliere regionale Lorenzo Sospiri, al senatore Paolo Tancredi e all'ex senatore Filippo Piccone, che a quel tempo si sarebbe attivato per ottenere la costruzione di un secondo inceneritore su un terreno di sua proprietà nella zona di Avezzano (L'Aquila). Tali finanziamenti e altri favori, come il mancato sfratto di Forza Italia da un immobile dei Di Zio in piazza Salotto a Pescara e un'assunzione che sarebbe stata richiesta da Venturoni a Di Zio, a giudizio dell'accusa costituirebbero la dimostrazione della dipendenza dalla politica degli interessi dei Di Zio. Secondo Varone sia Venturoni che Di Stefano si sarebbero attivati per favorire la realizzazione dei due impianti al centro dell'inchiesta, anche esercitando pressioni per modificare alcune leggi regionali, aiutando Di Zio nel tentativo di ottenere uno specifico brevetto per la realizzazione dell'impianto Tmb e assecondando la richiesta di Di Zio di rimuovere Riccardo La Morgia dalla presidenza del consorzio dei rifiuti di Lanciano (Chieti). La Morgia, infatti, intendeva rivedere le tariffe sullo smaltimento dei rifiuti che Di Zio continuava a parametrare sulle previsioni iniziali dei quantitativi, che però nel frattempo erano raddoppiati. "In questo modo - ha sottolineato Varone - la comunità regionale ha subito danni per 12 milioni di euro". Il pm ha affermato: "Di Zio puntava a diventare monopolista di tutta la filiera dei rifiuti"