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vittimedimafiaLa memoria del passato, di quello che è significato per tutte quelle persone che da un giorno all’altro hanno perso il loro diritto alla vita e, prima ancora, a quella dignità riconosciuta per diritto naturale ad ogni essere umano, e l’unico antidoto per evitare che la strage continui. 900. Tanti. Troppi. Sono novecento le persone uccise nella guerra dello Stato italiano contro le mafie . Un elenco lunghissimo di magistrati, giornalisti, sacerdoti uomini delle forze dell’ordine, semplici cittadini che occorre ricordare per tenere viva la tensione morale di un fenomeno da combattere come quello delle mafie. Per questo sono molto importanti le iniziative della “Giornata della memoria” che si svolgeranno domani. In prima fila come sempre le scuole che hanno il dovere di contribuire a diffondere la cultura della legalità. Tra queste ricordiamo l’Istituto “De Cecco” di Pescara con la Prof. Alessandra Di Pietro, il procuratore Andrea Di Giovanni, il prof. Graziano Fabrizi; il comprensivo 4 di Pescara con la Prof Daniela Morgione e il generale Angiolo Pellegrini; la scuola Giovanni XXIII di Pineto con il Prof. Gaetano Avolio; l’Istituto “Moretti” di Roseto con la Prof. Sabrina Del Gaone e Luca Maggitti; il comprensivo vibratiano di Colonnella con le Prof. Manuela Divisi, Alessandra Angelucci, e la giornalista sotto scorta Manuela Natali; il comprensivo di Civitella con la Prof Laura D’Ambrosio e Leo Nodari, l’Università D’Annunzio e il Comune di Pianella con una lunga giornata di film. E il corteo di Libera e Miur a L’Aquila. Rinviato invece al 12 aprile l’incontro di Teramo a Piazza sant’Anna con il (novantenne) procuratore Leonardo Guarnotta, ancora lucidissimo, che fu nel primo pool di Caponnetto con Falcone e Borsellino.
Dunque una giornata importante per non dimenticare una guerra altalenante, che qualcuno ha combattuto mentre i più sono rimasti a guardare. Una lotta strenua tra luci e ombre, tra uomini dello Stato che hanno sacrificato tutto e parti colluse e spesso complici. Una guerra che viene da lontano, dalle lotte contro i soprusi medioevali, per le terre e per la vita, dall’omicidio del sindacalista Placido Rizzotto (1948) che ebbe il suo culmine nel 1992 con l’anno di Capaci e via D’Amelio. Per eliminare i due magistrati simbolo che meglio degli altri avevano capito che per sconfiggere definitivamente "Cosa nostra" si deve ridurre l’area grigia, le collusioni della mafia con pezzi del potere legale di ogni tipo. Ma anche l’anno della reazione che ha consentito di arrestare tanti boss,vincere tante difficili battaglie, ma non ancora la guerra. Soprattutto perché troppo spesso nel nostro Paese soffriamo gravemente di emorragia della memoria, che si può estendere al presente e al futuro. Un pericolo per la qualità della nostra democrazia . Cosa nostra ha subito indubbiamente colpi durissimi, dall’arresto di Salvatore Riina in poi. Catture, condanne, sequestri imponenti di capitali illeciti, segnali di prime incrinature nel muro di omertà. Abbiamo vinto tante difficili battaglie ma non ancora la guerra. Chiunque voglia dimenticare e farci dimenticare ciò che hanno provato in tema di compenetrazione tra potere criminale e legale i processi Andreotti e Dell’Utri, antesignani del processo "trattativa", di cui troppo poco si parla, vuole di fatto legittimare per il passato un certo modo di fare politica che prevede anche collusioni sistematiche con la mafia.
Per questo sono molto importanti le iniziative della “Giornata della memoria” che si svolgeranno domani. A Pescara con la Prof. Alessandra Di Pietro, il procuratore Andrea Di Giovanni, il prof. Graziano Fabrizi; a Pineto con il Prof. Gaetano Avolio; a Roseto con la Prof. Sabrina Del Gaone e Luca Maggitti; a Colonnella con le Prof. Manuela Divisi e Alessandra Angelucci, il generale Angiolo Pellegrini, la giornalista sotto scorta Manuela Natali; a Civitella con la Prof Laura D’Ambrosio a cui parteciperò anch’io.
Una giornata importante per chiedersi perché tante, se non tutte le persone uccise,hanno continuato a lavorare con perfetta coscienza che la forza del male, la mafia, li avrebbero un giorno uccisi. Molti di loro non potevano ignorare, e non ignoravano, l’estremo pericolo che correvano perché troppe vite di loro compagni di lavoro e di loro amici erano state stroncate sullo stesso percorso che si imponeva. Perché non sono fuggiti, perché hanno accettato questa tremenda situazione, perché quasi tutti, se non tutti, sono stati sempre pronti a rispondere a chiunque della speranza che era in loro? Per amore! La loro vita è stata un atto di amore verso questa Nazione, verso questa terra. Perché se l’amore è soprattutto ed essenzialmente dare, per loro, e per coloro che sono stati accanto a loro nella loro meravigliosa avventura, sogno, utopia di un Paese libero. Amore verso l’Italia e la sua gente ha avuto e ha il significato di dare a questa nostra terra qualcosa, tutto ciò che era ed è possibile dare delle nostre forze morali, intellettuali e professionali per rendere migliore questa patria.
Quello che abbiamo imparato da loro è che la lotta alla mafia, oggi più che mai, non può essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale, anche religioso, che coinvolga tutti, che tutti abitui – e soprattutto i giovani - a sentire la bellezza del fresco profumo di libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, della indifferenza, della contiguità e, quindi, della complicità. Solo smuovendo le coscienze, rompendo i sentimenti di accettazione della convivenza con la mafia, che costituiscono la vera forza di essa si potrà battere la mafia. Solo rinunciando a tanti piccoli o grossi vantaggi, a tante piccole o grandi comode abitudini, a tante minime o consistenti situazioni fondate sull’indifferenza, sull’omertà o sulla complicità si potrà battere il mostro.
Occorre evitare che si ritorni di nuovo indietro. Occorre dare un senso alla morte di queste persone. Sono morti tutti per noi, per gli ingiusti, abbiamo un grande debito verso di loro e dobbiamo pagarlo. Facendo il nostro dovere; rifiutando di trarre dal sistema mafioso anche i benefici che possiamo trarne (anche gli aiuti, le raccomandazioni, i posti di lavoro); collaborando con la giustizia; testimoniando i valori in cui crediamo, in cui dobbiamo credere, anche dentro le aule di giustizia. Troncando immediatamente ogni legame di interesse, anche quelli che ci sembrano innocui, con qualsiasi persona portatrice di interessi mafiosi, grossi o piccoli; accettando in pieno questa gravosa eredità di spirito; dimostrando a noi stessi e al mondo che Giovanni, Paolo e tutti gli altri sono vivi.