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di Carlo Di Marco

Nei giorni scorsi è balzata all’attenzione dei cittadini teramani l’ennesima proposta definita subito (per fortuna) “irricevibile” da alcuni esponenti della maggioranza politica che governa la Città e dagli esponenti dell’Associazione Teramo Nostra. In realtà, sono state usate anche parole un po’ più esplicite, ma come non comprendere lo stato d’animo di chi ha sempre avvertito nei decenni di battaglie per il recupero funzionale del Teatro, il freno di quanti hanno privilegiato altri interessi anziché quelli della collettività e del bene comune? La proposta in argomento, infatti, prevede il recupero del Teatro senza abbattere i palazzi Adamoli e Salvoni che costituiscono da sempre, invece, come anche le pietre secolari oramai sanno bene, i principali ostacoli alla restituzione di questo tesoro alla cultura e alla collettività. Ma andiamo per ordine.
Nei giorni successivi all’ “esternazione” dell’Ordine degli Ingegneri (così sembra dalle notizie giornalistiche) per tramite dell’Ing. Di Baldassarre, si è svolto un nuovo incontro fra Amministrazione comunale e la Sovrintendenza che nelle scorse settimane aveva osservato il progetto Bellomo. Durante questo ulteriore confronto si sarebbe raggiunto un accordo con l’Amministrazione comunale e, pertanto, i passi successivi ora dovrebbero essere i seguenti:
a)-atto del Comune con cui si indicano al progettista le modifiche da apportare in consonanza con le osservazioni della Sovrintendenza ai fini della redazione del progetto definitivo;
b)-consultazione popolare mirata al miglioramento delle soluzioni individuate attraverso un confronto con i cittadini e altri portatori di interesse;
c)-esame delle risultanze della consultazione ed eventuale approvazione del progetto definitivo da parte del Consiglio comunale, che aprirebbe la strada, fra le altre cose, al procedimento di espropriazione dei due palazzi da demolire (o smontare…).
Nel segnare questo quadro (nettamente diverso da quello che si mostrava solo un anno fa), ho l’impressione che nel rapporto fra cittadini e governo della Città, al momento, le cose stiano cambiando notevolmente. La considerazione negativa dell’Amministrazione comunale su questa ulteriore proposta “dilatoria” tesa a prendere tempo perché i finanziamenti si perdano, nonché la sua fermezza sul progetto Bellomo si sono avute, da un lato, per la buona volontà della maggioranza politica della Città, ma anche grazie al ruolo partecipativo e propositivo dei cittadini teramani. Questo ruolo, infatti, nulla togliendo alla volontà politica, è stato addirittura determinante. Vi è stata una raccolta di firme promossa da un Comitato per il referendum (che ho avuto l’onore di presiedere) che ha raccolto in poco tempo quasi 1200 firme in calce a un quesito che poneva un doppio obiettivo: a)-ripartire dall’unico progetto approvato in Consiglio comunale nel 2010 che prevede l’abbattimento dei palazzi Adamoli e Salvoni; b)-promuovere un Dibattito pubblico cittadino sulla soluzione progettuale da adottare per il recupero funzionale del Teatro. Ebbene, se oggi è quella la base di partenza della nuova progettazione Bellomo (certo da adeguare alle osservazioni della Sovrintendenza, ma anche da calibrare in riferimento alla copertura finanziaria), ciò è dovuto certo alla buona volontà di questa amministrazione comunale, ma anche alla determinazione e alla presenza dei cittadini attivi, delle loro associazioni e dei comitati di quartiere che hanno collaborato attivamente alla raccolta delle firme referendarie. A me pare che almeno su questa grande e storica querelle, nella nostra Città, politica e società civile si siano fortemente riavvicinate.
Vi è ora la necessità che i tre passi successivi siano effettuati nel migliore dei modi. A Demos, ferma restando l’importanza e la concatenazione necessarie di tutti e tre, sta particolarmente a cuore quello relativo alla “consultazione popolare mirata al miglioramento delle soluzioni individuate attraverso un confronto con i cittadini e altri portatori di interesse”. Riteniamo, infatti, che in questa città ci siano tutte le condizioni per “fare scuola” di partecipazione popolare inaugurando la stagione delle buone pratiche con un grande evento partecipativo che abbia risonanza nazionale. Vi sono condizioni e premesse da vendere: un gran numero di comitati di quartiere e frazioni cittadini che fanno sentire la loro voce quotidianamente; una presenza forte di forme associative che presentano un notevole livello culturale; una Università attenta da molti anni ai fenomeni della partecipazione popolare, all’inclusione e alle pratiche deliberative che offre le necessarie competenze per la gestione di questi percorsi. Insomma, un tessuto sociale e un’autonoma e molteplice capacità che sulla democrazia e sulla partecipazione popolare possono portare Teramo a diventare punto di riferimento per l’intera Regione. E si può partire proprio dalla consultazione popolare sul Teatro romano!
Consapevole di questo, l’Associazione DEMOS, immediatamente dopo la presentazione del progetto Bellomo, ha proposto un progetto per lo svolgimento di una consultazione popolare che potrebbe persino marginalizzare e rendere inutile la richiesta referendaria del Forum cittadino. Il progetto, dal titolo «Progetto del Teatro romano di Teramo, consultazione dei cittadini. Deliberative Polling» prevede, infatti, un massiccio percorso di coinvolgimento dei cittadini sul progetto Bellomo come base di partenza, anche a seguito delle osservazioni della Sovrintendenza; il coinvolgimento dei cittadini, delle associazioni, dei comitati di quartiere e di frazione, del suo coordinamento, degli ordini degli architetti e degli ingegneri, di tutte le altre intelligenze del nostro meraviglioso Genius loci.
Ove l’Amministrazione comunale accogliesse l’idea e la buona pratica di questo progetto, nella nostra Città potrebbe svolgersi la più importante consultazione popolare democratica e partecipativa che si sia mai avuta nella Regione Abruzzo. Sarebbe un precedente storico ineguagliabile e una grande dimostrazione che i cittadini possono avere sempre un ruolo partecipativo, propositivo e di controllo, mettendo così gradualmente da parte la cultura della delega, per recuperare quella costituzionalista della sovranità popolare.