Due le possibilità: o io non capisco niente di cinema, e la cosa sarebbe tutto sommato comprensibile, oppure a non capire niente di cinema sono i fratelli Damiano e Fabio D’Innocenzo, ma in questo caso la cosa è molto meno comprensibile, visto che fanno i registi.
Caso vuole, però, che a scrivere queste righe sia io, e quindi è mio il giudizio.
Ed è una condanna senza appello per “America Latina”, uno tra i film meno “partecipabili” che abbia mai visto. Leggo le due righe della nota di sky che lo presenta sull’on demand: “Nello spiazzante thriller, un dentista vive in una villa con la sua famiglia. Un giorno, scendendo nelle cantine incontra l’assurdo”.
Ecco, questa è la sintesi perfetta di quello che si prova davanti a questa “fatica” cinematografica.
E’ spiazzante, perché non si riesce a comprendere come mai qualcuno abbia davvero considerato giusto finanziarlo, vista la pochezza di una trama scontatissima, che diventa addirittura prevedibile quando il protagonista risale la prima volta dalla cantina.
E l’assurdo, cui accenna la nota di Sky, in realtà il dentista, o meglio l’attore che l’impersona, ovvero Elio Germano, in realtà l’ha incontrato prima, molto prima di scendere in cantina. L’ha incontrato alla lettura del copione, quando ha certamente intuito che nelle corde registi che dei due fratelli non c’è il thriller.
Del resto, ne avevo già sofferto la creatività manifestata in “Favolacce” (leggi qui la recensione) e non mi aspettavo certo un’opera meravigliosa, ma neanche un film claustrofobico, sconclusionato, didascalico nel raccontare il tedio mortale della provincia minore italiana (relegato ad una pennellata di nebbia bassa), con personaggi angosciati più che angoscianti e una trama che è, in realtà, il malriuscito collage di altre storie, viste in altri film, ma copiate poco e male.
Quando hanno girato la scena della sedia a dondolo che cigola, sembra che anche il tratto di Oceano Pacifico che accolse le ceneri di Hitchcock abbia cigolato. Sì, lo so, il mare non cigola, non è credibile… ma neanche la scena dei fratelli D’Innocenzo, ai quali vorrei chiedere, perché mai si ostinino nel coinvolgere l’ottimo Elio Germano in imprese cinematografiche che ne mortificano talento e capacità.
A proposito, non avevo capito subito il senso del titolo, quell’America Latina che occhieggia più all’ex palude littoria che ai paradisi (fiscali e naturali) più o meno caraibici, ma poi ho intuito che non è un titolo, ma un consiglio: è la distanza necessaria a sfuggire alla prossima opera dei D’Innocenzo…
IL CRITICONE
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