Presso la BNF (Biblioteca Nazionale di Francia) sono conservate tre lettere inedite e poco conosciute dell’illuminista teramano Melchiorre Delfico (1744-1835). Si tratta di tre lettere rivelatrici del carattere di Delfico, sempre assai riservato, ma pure sempre attento alla circostanze storiche delle quali fu a volta protagonista altre volte spettatore. Degno di rilievo è in una delle lettere il richiamo alla “fratellanza”. A scoprirle è stato l'instancabile Elso SImone Serpentini, inesaurbile cacciatore dei tesori della cultura teramana... anche se ormai lontani da Teramo.
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La lettera a Giovanbattista Winspeare del 21 marzo 1834
Il 21 marzo 1834, meno di un anno prima della sua morte (che sopraggiungerà il 22 giugno 1835) il 90enne teramano Melchiorre Delfico scrive a Giovanbattista Winspeare (nato a Portici il 4 Agosto 1779 e ivi morto nel 1857. Sottotenente dei Granatieri. Capo sezione presso il Ministero delle Finanze. Direttore Generale al Ministero degli Interni) fratello del suo amico da antichissima data Davide . Winspeare (nato a Portici il 22 Maggio 1775 e morto a Napoli il 13 Settembre 1846, diventato uno dei più importanti giuristi napoletani e creato barone del 1814). Scrive: “Dal nostro Davide sono incaricato di rimettervi di rimettervi [lo scrive due volte, l’età si fa sentire] queste cedole che per di lui mezzo acquistai, e che perciò dovete pagare a lui, giacchè nella mia ignoranza di tali faccende e nella lontananza da questa machina sociale, qual caro amico si incarica di tutto. Compatite dunque questo incomodo e con tutto il grandissimo freddo. Caldissimamente colla famiglia vi abbraccia il vostro affezionatissimo Melchiorre Delfico”. Nonostante la vegliarda età e i suoi acciacchi, impedito nel fisico e costretto a stare quasi sempre a letto, Melchiorre Delfico continua ancora badare ai suoi affari e confessa la sua ignoranza in fatto di cedole, di finanza e di pratiche sociali.
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La lettera al Gonfaloniere di Ascoli Tullio Lazzari del 5 marzo 1831
Il 5 marzo 1831 l’87enne Melchiorre Delfico scrive una lettera al Gonfaloniere di Ascoli Tullio Lazzari. Si dice confuso nel vedersi onorato dal primo rappresentante di una città, che considera “patria di attenzione ed onore” e dalle espressioni che sono state usate nei suoi confronti e della gratitudine mostratagli per ciò che egli, nella sua età cadente, ha potuto dire intorno a quanto l’illustre Cantalamessa ha potuto raccogliere riguardo agli uomini che si sono distinti per lettere e per arti. Egli scrive ancora di considerare “come una manifestazione di patriotici veri sentimenti” la cortesia delle espressioni del Gonfaloniere Lazzari, per le quali ringrazia, “sperando che voglia sempre credere da me affettuosi sensi per la patria, e donato rispetto a chi la regge, ai cui sensi mi confermo”.
Lo scritto, a prima vista, sembra un normale lettera di ringraziamento di Delfico per le lodi ricevute per aver mostrato di apprezzare la pubblicazione di Giacinto Cantalemessa Carboni “Memorie intorno i Letterati e gli Artisti della Città di Ascoli nel Piceno” (Ascoli, 1831), ma è qualche cosa di più. Esso mostra come il Delfico avesse precisi orientamenti politici e li esprimesse, sia pure ammantati con un velo ordito secondo i suoi consueti codici di “riservata prudenza”, che non gli avevano mai fatto correre i pericoli corsi da altri, che, per quegli orientamenti ci avevano rimesso la testa nei periodi più turbolenti della vita politica del Regno di Napoli. Il suo richiamo ai “patriotici veri sentimenti” e alla “patria”, ha un preciso significato, che trova spiegazione nel momento storico che la vita politica di Ascoli tra vivendo quando egli scrive questa lettera. Scoppiata nel Ducato di Modena la rivolta anti austriaca in nome dell’indipendenza italiana, era serpeggiata fino ad Ascoli, dove il 21 febbraio 1831 il Delegato Apostolico Benedetto Folicardi aveva dovuto cedere la città al generale Giuseppe Sarcognani, il quale aveva separato Ascoli da Fermo e aveva in Ascoli nominato un governo provvisorio con Tullio Lazzari a Gonfaloniere e Giacinto Cantalamessa Carboni a Segretario, governo che in seguito venne completato con l’avvocato Serafino Panichi, Francesco Talianini, Francesco Merli, Nicco Voltolini e Giuseppe Tocchi.
Il governo provvisorio, nato da una rivolta antiaustriaca durerà in Ascoli solo quaranta giorni, prima che la reazione del papa Gregorio XVI, succeduto a Pio il 2 febbraio di quell’anno, ripristinasse l’antica situazione politica, non senza una certa repressione, sia pure temperata dai francesi sbarcati ad Ancona il 23 febbraio. Dunque, la lettera di Delfico al Gonfaloniere Tullio Lazzari era davvero qualcosa di più di un ringraziamento per la gratitudine causata dal suo apprezzamento dell’opera letteraria di Cantalemessa, era un’espressione di solidarietà politica per un governo cittadino rivoluzionario che nella città più meridionale dello Stato Pontificio sul confine con la città più settentrionale del Regno di Napoli innalzava il vessillo “patriottico” dell’indipendenza italiana dall’Austria. Ma la “prudenza” induceva Delfico, a 87 anni così come quando era assai più giovane, a scrivere sapientemente in modo da non compromettersi più di tanto con estremismi ritenuti dannosi per sé e per la causa per quale operava in silenzio.
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La lettera al cittadino Domenico Campanelli Cittadino Intendente dell’Azienda Allodiale Napoli da Bussi dell’11 febbraio 1799
L’11 febbraio 1799 Melchiorre Delfico, 55enne, scriveva da Bussi a Cittadino Intendente dell’Azienda Allodiale di Napoli Domenico Campanelli, dandoli conto, come gli era stato richiesto, dello stato attuale dell’amministrazione e dell’eventuale “attrasso di esazione” [ritardo dell’esazione]. La sua era una relazione completa, assai dettagliata. Il 29 dicembre del 1798 il generale francese Louis Lemoine (Saumur, 23 novembre 1764-Parigi, 2 gennaio 1842).gli aveva ordinato di esibirgli il denaro e gli altri generi in suo possesso quale ricavato dalle rendile allodiali oltre al bilancio dei conti. Non aveva potuto esimersi dal farlo e aveva consegnato al detto generale gli ottanta ducati che risultavano dai registri contabili, di cui conservava la ricevuta. Gli era stato anche ordinato dal generale di vendere le 84 salme di grano, che secondo quanto risultava pure dal bilancio, si trovavano immagazzinate. Le aveva vendute in capo a pochi giorni a 42 carlini a salma, ma, incamminatosi per Solmona, per portare la somma al generale, arrivato a Popoli aveva saputo che il generale aveva lasciato Solmona, così era tornato indietro, portando con sé il denaro. Però si era imbattuto in “una truppa di gente a massa”, vale a dire una banda di insorgenti, della quale facevano parte alcuni cittadini, l’avvocato dell’Università di Bussi Carlo Franceschelli e tale Giuseppe de Mattei, e che era capeggiata da Giuseppe Pronio di Introdacqua. Giuseppe Gabriele Antonio Pronio [Introdacqua, 20 febbraio 1760 – Napoli, 26 gennaio 1804], soprannominato “Gran Diavolo” per la sua audacia e la sua intolleranza ai soprusi, francesi napoleonici divenne uno dei capimassa di maggior successo della zona settentrionale del Regno francesi nei mesi tra dicembre 1798 e gennaio 1799. Dopo una prima vittoria a Roccacasale, il 5 gennaio. Con l'arrivo dei di Napoli. Messosi a capo di settecento uomini, in seguito cresciuti a migliaia, sconfisse ripetutamente i 1799 vi era stata a Sulmona una vera e propria battaglia tra la massa del Pronio da una parte e una colonna di Francesi dall'altra: gli scontri, che si erano verificati alle porte della cittadina presso ponte San Panfilo poi spostati verso Pacentro, ma il sopraggiungere della notte e l'esaurirsi delle munizioni avevano costretto gli uomini di Pronio a lasciare il campo e ripiegare su Introdacqua, loro quartier generale. Dopo essere stato sconfitto a Ripa Teatina, ricomparirà vittorioso e con nuovi uomini all'altopiano delle Cinquemiglia e a Isernia e il 9 maggio ristabilirà il governo borbonico a Chieti, il 10 ad Ortona, tra il 12 e il 15 a Lanciano, tra il 18 e il 21 a Vasto e alla fine di giugno assediò la fortezza di Pescara difesa da Ettore Carafa. Il re Ferdinando I, con decreto del 2 giugno 1799, lo nominerà generale comandante dei tre Abruzzi e con un successivo decreto del 5 giugno Fabrizio Ruffo, vicario generale del Regno, nominerà Pronio capitano generale. L’ultima battaglia in cui si avranno notizie di un suo coinvolgimento sarà sulla linea del Tronto il 30 marzo 1801. Morirà nel 1804, probabilmente avvelenato. Nella sua relazione al cittadino Domenico Campanelli, Delfico scrive che era stato costretto con la minaccia delle armi a consegnare a Giuseppe de Mattei, componente della banda del Pronio, la somma di trenta ducati, poi la sua casa era stata assaltata da uomini armati comandati dallo stesso Pronio ed era stato costretto a versare la somma di 295 ducati, di cui si era fatto rilasciare una ricevuta, oltre ad altri cinque ducati e una salma e mezza di grano. C’erano da esigere alcune partite maturate, ma sarebbe stato impossibile esigerle, “per la circostanza dei tempi, come per la mancanza della forza della giustizia”, tanto che, essendosi opposto a versare alla “massa” di uomini armati altri ducati, il giorno 8 febbraio 1799 il sacerdote don Alessandro Franceschelli davanti alla sua propria casa, sulla pubblica strada, gli aveva scagliato un forte pugno in faccia, facendolo cadere a terra, alla presenza di moltissime persone. Notevole nella lettera, che è intestata “Libertà Eguaglianza Repubblica Napoletana”, termina, prima della data con le parole “Salute, e Fratellanza”. Il dato è di importante rilevanza, considerato che in tanti ancora si ostinano ad asserire che non vi siano prove dell’appartenenza di Melchiorre Delfico alla fratellanza massonica.