Non mi è mai capitata l’opportunità di leggere l’articolato della convenzione stipulata tra il Comune di Teramo e il gestore dello Stadio “G. Bonolis”. Né ho mai parlato con qualcuno che l’avesse letta e che avrebbe potuto fornirmi qualche indicazione. So dell’argomento quel poco che è filtrato sulla stampa in qualche occasione in cui di quella convenzione si è parlato. Ma ho, tuttavia, una certezza: quella convenzione non deve essere un capolavoro ed è l’uovo malato dal quale sono sorti tanti guai, tutti quelli che hanno portato alla scomparsa del calcio professionistico a Teramo, al quale, invece, avrebbero dovuto, lo stadio e la convenzione, assicurare un sicuro avvenire. Non fu sbagliata, di per sé, la scelta di costruire uno Stadio, visto che non lo avevamo: il vecchio campo sportivo Comunale, carico di ricordi e di gloria non lo era. E poi da decenni si sentiva la necessità di avere un nuovo impianto, uno Stadio vero e proprio, era un’aspirazione fino a quel momento rimasta sterile. Fu possibile realizzarla grazie ad uno strumento sopravvalutato e pericoloso, che in lingua inglese si chiama “project financing”, che è come una bilancia i cui due piatti dovrebbero restare in perfetto equilibrio: quello sul quale insiste il peso dell’interesse pubblico e quello sul quale insiste l’interesse privato. Se uno dei due piatti si sbilancia, o verso l’alto o verso il basso, nascono guai in proporzione al grado di sbilanciamento. Il “project financing” al quale si fece ricorso per avere lo Stadio prevedeva anche la realizzazione di un centro commerciale, che insisteva anch’esso sul piatto dell’interesse privato, molto, e poco, molto di meno, su quello dell’interesse pubblico.
Bisogna dire che i due piatti si sbilanciarono subito, fin dall’inizio, e cominciò da subito a prevalere, e di gran lunga, l’interesse privato su quello pubblico. Al primo venne molto concesso, quasi tutto, e il secondo venne sommerso. Dall’operazione sortirono effetti non benefici e fra questi segnalo un forte contributo alla desertificazione del centro storico di Teramo e alla distruzione del piccolo commercio cittadino, danni non certamente commisurati adeguatamente ai vantaggi, tra i quali segnalo una vaga modernizzazione (come fu ai tempi della realizzazione della Standa al posto del criminalmente abbattuto teatro ottocentesco) e la soddisfazione di avere anche noi quello che avevano già gli altri. Per quanto riguarda lo Stadio, importante, anzi importantissima, era la convenzione per la sua gestione, nella certezza che andasse evitata la gestione diretta del Comune, non come elemento di principio, ma per la manifesta incapacità gestionale di un istituto, l’amministrazione comunale, che finisce sempre per essere non il governo della cosa pubblica, ma degli appetiti di questo o di quel politico. Gestire direttamente un bene immobile per un Comune sarebbe anche possibile, e conveniente perfino, se poi una eteronomia dei fini – quelli politici e personali degli amministratori (politici) di gran lunga prevalenti su quelli dell’interesse degli amministrati, non portasse ad una inefficienza certificata. Nell’affidare la gestione del “Bonolis” ad un privato, si scrisse una convenzione, ma credo con i piedi, non con le mani o con la testa, e la si scrisse in modo che i due piatti della bilancia sopra accennata fossero del tutto squilibrati, a vantaggio del piatto degli interessi privati. Soprattutto non si badò a curare gli interessi degli sportivi assicurando alla principale squadra di calcio cittadino un connubio di ferro con lo stadio. Il binomio Stadio-squadra di calcio venne sancito solo a parole, sia da coloro che scrissero la convenzione sia da coloro che poi, in uno sciagurato cambio di gestione, l’hanno confermata o forse riscritta. Quando il sindaco D’Alberto ebbe a dire che nella rinnovata convenzione questo connubio era stato “blindato”, o mentì o non sapeva quello che diceva. Perché comunque lasciò intendere a tutti che mai più le sorti della squadra cittadina di calcio si sarebbero divise e separate da quelle dello stadio e che la forza dell’una si sarebbe indissolubilmente unita alla forza dell’altro. Si è visto che non è stato così. Se con Campitelli il calcio doveva annualmente sborsare somme ingenti per usufruire dello stadio, sottraendo risorse alla società di calcio, la stessa cosa si è verificata con il passaggio di gestione dello società di calcio e dello stadio, anche se non sembrava, in quanto coincidendo le due figure presidenziali, Iachini prendeva come presidente della società di calcio denaro dalla sua tasca destra e lo metteva nella sua tasca sinistra come gestore dello stadio. La stessa cosa si è prospettata quando il presidente della società di calcio, stufatosi del giochino rivelatosi forse inaspettatamente troppo costoso, ha mandato la società di calcio al macero, continuando ad essere gestore dello stadio e in questa veste continuando a pretendere che la sua tasca sinistra si riempisse di denaro non più preso dalla sua tasca destra, ma dalla tasca di chi avesse voluto continuare a fare calcio con una nuova società, che avesse preso il posto di quella da lui mandata sportivamente in rovina. La convenzione ha mostrato tutti i suoi limiti e la realtà ci ha prospettato addirittura i guai che sarebbero stati ancora maggiori se fosse passato un PEF che era stato pensato e che si voleva realizzare fin quasi al nuovo secolo solo ed esclusivamente tenendo conto dell’interesse privato e per niente dell’interesse pubblico. Un’altra nota di disgusto relativamente alla convenzione sciagurata di cui stiamo parlando è che essa non riesce per nulla efficace nell’imporre al gestore pro-tempore obblighi di manutenzione, con previsione di penali in caso di inadempienza. Accadde così che il precedente gestore, Cantagalli, fu libero di attuare una manutenzione così bassa che il suo successore Iachini ebbe a lamentarsene, rinfacciando “urbi et orbi” che aveva dovuto assai spendere per l’adeguamento dello stadio a causa di quelle inadempienze di manutenzione. Accade così che oggi le stesse inadempienze potrebbero verificarsi, continuando la convenzione a non prescrivere severamente una manutenzione adeguata e soprattutto a sanzionare efficacemente le inadempienze, all’attuale gestore, il quale, in mancanza di profitti, potrebbe limitarsi a guardare, senza intervenire, il progressivo deperimento di un bene affidato alla sua gestione. Il “Bonolis”, insomma, se non dovesse garantire i profitti sperati, potrebbe fare ben presto la fine del vecchio Comunale. Con l’unica differenza che sul terreno di gioco non crescerebbero le erbacce e le sterpaglie per l’unico motivo che è di materiale sintetico. La maggior colpa di quanto è accaduto, ed è più grave di quanto oggi noi pensiamo e avvertiamo, la fine – si spera temporanea – del calcio professionistico a Teramo, è della politica e dei politici che si sono succeduti negli anni dall’inaugurazione del “Bonolis” ad oggi, è quella di non essersi serviti della convenzione per assicurarsi che i due piatti della bilancia, quello dell’interesse pubblico e quello dell’interesse privato, restassero in equilibrio.
Elso Simone Serpentini