Quando nel 1963 vedemmo, in uno dei due cinematografi di Teramo - allora ne avevano due - il film di Francesco Rosi Le mani sulla città, non ci rendevamo conto che le stesse vicende che si raccontavano in quella drammatica storia politico-sociale che riguardava Napoli accadevano anche nella nostra città: Teramo. Quando si è immersi in un flusso di avvenimenti, non ci si rende conto degli stessi, cosa che invece risulta agevole a chi se ne sta al di fuori e li osserva dall’esterno. Così pensavamo che ciò che Rosi raccontava nel film accadesse solo a Napoli e non immaginavamo che stesse accadendo anche a Teramo. Le mani sulla città le avevano messo non solo a Napoli, ma anche a Teramo e anche nella nostra città la speculazione edilizia si era impadronita dei gangli vitali dell’economia cittadina, trasformandola da agro-pastorale-impiegatizia qual era, in una economia che aveva l’ambizione, mai riuscita, di essere industriale e non sapeva essere che basata sul mattone. Nel film di Rosi si parlava di spregiudicati costruttori edili, i “palazzinari”, e di politici al loro servizio, o quanto meno complici, che o costruivano in contrasto con il piano regolatore o le modificavano a loro piacimento. Gli spettatori teramani si indignavano per quanto veniva raccontato nel film, senza essere consapevoli che le stesse cose, senza che lo sapessero, avvenivano anche a Teramo.
Gli strumenti di previsione urbanistica, piano regolatore generale, la variante allo stesso, il piano particolareggiato del centro storico, venivano redatti con la complicità e con la supervisione dei proprietari delle aree e degli immobili, e l’acquisto di aree e terreni che sarebbero stati in seguito lottizzati guarda caso secondo una perfetta aderenza alle previsioni urbanistiche c’era anche qui da noi.
Ho più volte detto che i massoni illuminati teramani della fine dell’Ottocento e dei primissimi anni del Novecento costruirono una città che poi i loro nipoti, massoni anch’essi, ma poco illuminati, hanno distrutto, quasi edificio per edificio.
In tutti i tentativi che sono stati operati per confrontare la Teramo com’era e la Teramo com’è risultano evidenti sostituzioni di palazzi non privi di un pregevole stile architettonico con orribili scatoloni di cemento e la sostituzione ad altro non è dovuta che alla speculazione edilizia, operata da muratori veri e propri con il consenso di liberi muratori per i quali la cazzuola e la squadra non erano veri strumenti di lavoro, ma solo simboli.
L’aggravante è che la sostituzione dei singoli palazzi non comportò nemmeno un rilevante aumento della cubatura, ma ci si accontentò dell’abbattimento di un edificio bello con un edificio brutto, di pari cubatura, al solo scopo di costruire, come strumento di movimentazione del denaro che comporta sempre di per sé profitto.
Ci furono solo poche eccezioni.
Per citarne qualcuna, penso al cosiddetto palazzo del miliardo, perché tanto costò - e chi sa quanto fruttò - con il quale Teramo perse un bell’edificio lungo Corso De Michetti; all’orrendo edificio che dalla parte opposta sostituì quello soprastante i portici Bonolis, che vennero salvati e parzialmente solo per una tardiva resipiscenza; al pure orrendo gigantesco palazzone detto dell’americano – cosiddetto perché acquistato per abbatterlo e ricostruirlo da uno che aveva fatto fortuna in America e tornò carico si soldi –, che insiste ancora oggi proprio di fronte al Teatro Romano al posto del palazzo D’Intino. A parte questi casi, come detto, non ci furono aumenti di cubatura, solo sostituzioni, perché la speculazione stava non necessariamente nell’aumento dei volumi edificati, ma nell’edificare ex novo in quanto tale. Uno degli strumenti per nascondere la speculazione e giustificare l’abbattimento e la ricostruzione degli edifici esistenti fu quello che era stato usato, ma con premesse e finalità diverse, nel piano di recupero di Santa Maria a Bitetto. Si diceva che gli edifici erano da abbattere e da ricostruire perché fatiscenti. Così era poi sufficiente far diventare fatiscente o tale da poterlo tale definire per giustificarne l’abbattimento e la sostituzione con un nuovo edificio.
Così da una parte si ebbe un reale sventramento, quello del quartiere di Santa Maria a Bitetto, e dall’altra la sostituzione di un Teatro ottocentesco con una scatola simile ad un pollaio.
Teramo nel centro storico perse via via nel tempo edifici di pregevole stile, che qualificavano la città, con costruzioni orrende: il villino Rocco, abbattuto per costruire la sede della Sip, il villino Brigiotti, abbattuto per costruire un orrendo palazzone, e, sempre in via Carducci, già via del Burro, i giardini Delfico, abbattuti per costruire la sede dell’Inail. Per finire le citazioni - ma l’elenco che sarebbe infinito o quasi - Teramo perse il bel Cinema Teatro Apollo per un’altra orribile costruzione moderna e l’Albergo Giardino per dare posto a costruzioni altrettanto orrende destinate a residenze e ad uffici, prima dell’Inps e poi di una Banca. Già prima un altro palazzo pregevole che si trovava proprio al centro di piazza della Cittadella aveva dovuto dare il posto al palazzo della Sanità – che i teramani presero come simbolo della modernità – e in piazza Roma, poi piazza Orsini, uno stupendo edificio liberty era stato abbattuto per essere ricostruito con la stessa destinazione d’uso – la sede di una banca, oggi BNL – senza che si riuscisse a cogliere nell’operazione altra motivazione che l’abbattere e il ricostruire in sé, ai soli fini di movimentazione del denaro da investire da parte dei costruttori e cementificatori. Potrei citare innumerevoli altri esempi, ma mi fermo, per accennare a quanto accadde una volta venute meno nel centro storico le possibilità di abbattimento-ricostruzione di edifici anche di pregio stilistico -. en passant cito il magnifico palazzo Crucioli, che proprio di fronte al Duomo venne abbattuto per un altro anonimo palazzotto senza gusto -. L’espansione della città oltre lo storico confine dei due fiumi che alla città stessa avevano dato il nome avvenne in maniera rapinosa, senza un criterio distributivo di pieni e di vuoti, creando problemi che non sono stati mai risolti, senza pensare alle vie di comunicazione, tanto che Teramo divenne una città senza adeguate strade di accesso. In questa fase, quello che contava era far rendere le aree e i terreni edificabili.
I due strumenti, l’utilizzo del metodo di sostituzione con un nuovo edificio - perché il mattone rende - di un edificio antico, giudicato vecchio e fatiscente, e tale spesso fatto diventare di proposito o tale fatto credere, e l’espansione scriteriata e senza regole su aree rese fabbricabili o giudicate tali dopo che acuti e indovini se ne erano assicurate la proprietà, sono quelli che vogliono utilizzare quanti hanno in animo di costruire sul letto di uno dei fiumi di Teramo, a forte rischio idrogeologico, un nuovo grande ospedale. Il fine della prevista costruzione è evidente a tutti ed è puramente speculativo. Le giustificazioni addotte sono le stesse che ho sopra ricordato, solo che, non potendo dire che l’attuale ospedale “Mazzini” sia fatiscente - non lo è e perfino un terremoto forza 6 non lo ha scalfito - si dice che è superato e di vecchia concezione e non adeguabile a presunte nuove, quanto vaghe, esigenze e normative. Si è ciechi e sordi alle argomentazioni di quanti obiettano che sarebbe assai più conveniente per l’interesse pubblico spendere le risorse non a beneficio dei proprietari delle aree destinate alla nuova costruzione, tra i quali alcuni noti investitori che in altri campi hanno dato il peggio di sé nel perseguire solo interessi privati, ma all’efficientamento dell’ospedale esistente, centrale rispetto alla città, che risente solo dei limiti di chi nella progettazione non tenne conto di altre esigenze, diverse da quelle specifiche, di natura estranea alla funzione ospedaliera, ma puramente logistica, per esempio la raggiungibilità e la sosta (parcheggi).
Le ottomila firme di cittadini contrari alla costruzione di un nuovo inutile ospedale a Piano d’Accio e favorevoli all’efficientamento dell’attuale “Mazzini” conteranno poco se gli speculatori avranno la forza di portare avanti la propria speculazione, che nel passato si è dimostrata del tutto indifferente al colore politico delle amministrazioni, e perciò capace di esercitare le dovute pressioni sia sulla destra che sulla sinistra. La speculazione edilizia è come una tempesta, che piega le chiome di tutti gli alberi, e molti ne spezza, anche se grossi, figuriamoci se non spezzerà alberi di fusto assai sottile e che quasi non stanno in piedi da sé come gli attuali politici ed amministratori. Ricordo che anche le cinquemila firme di cittadini contrari all’abbattimento del vecchio Campo Sportivo Comunale non furono loro a salvare la gloriosa struttura sorta nel 1929 – per giustificarne la distruzione si ricorre ancora oggi alla fatiscenza, appositamente causata - ma furono contraddizioni interne alla speculazione stessa, che non trovò più conveniente l’insano progetto di realizzare al posto del vecchio Comunale un cinema e delle palazzine, in un momento in cui calava il numero degli spettatori e il mercato edilizio di quel tipo di residenze era quasi fermo.
Elso Simone Serpentini