Tanto tempo fa, quando facevo politica – anzi, quando tornai a farla dopo che l’avevo lasciata, e fu uno dei grandi errori della mia vita – il mio nome fu tirato in ballo in vista di una candidatura a sindaco di Teramo per il centrodestra. In una riunione, come mi fu riferito, venni bocciato proprio dalla formazione che aveva preso il posto di quella nella quale avevano militato per anni – fin dalla giovinezza – per la quale tanto mi ero speso e che avevo rappresentato nel consiglio comunale di Teramo per tre consigliature e mezza – prima di uscirne per un dissenso su un tema non di poco conto: la pena di morte. Non mi sono mai immaginato sindaco di Teramo, così come non mi sono mai immaginato preside, perché ho sempre pensato di essere inadeguato ad un ruolo di dirigenza, o comunque di non avere voglia di assumerlo, preferendo di gran lunga nel mondo della scuola fare l’insegnante e come politico impegnarmi come militante, cioè combattere in prima linea. Devo dire, però, che, se mi fossi trovato a fare il sindaco, avrei istituito un assessorato alla normalità. Bella trovata, si dirà. Che cosa è questa novità. Che vuol dire avere una delega assessorile alla normalità? Semplice la risposta: l’obiettivo di un tale ruolo dovrebbe essere – e auspico ancora questa innovazione – quello di assicurare la normalità e combattere l’anormalità. A spiegare che cosa siano l’una e l’altra, la normalità e l’anormalità – la differenza tra i due termini sta tutta in un’alfa privativa – bastano delle semplici domande.
È normale che tu vada per il corso o in piazza e inciampi in un mattonella che ti faccia correre il rischio di cadere faccia a terra e romperti la faccia? Non è normale. Però a Teramo è la normalità e non lo dovrebbe essere, perché si tratta pur sempre di un’anormalità. È anormale che nelle strade ci siano sconnessioni sul selciato, immondizia dappertutto e ad ogni angolo, scritte sconce sui muri e degrado a vista ad ogni metro? Non è normale. È normale che ci siano in ogni quartiere, oltre che nel capoluogo, edifici abbandonati, lasciati deperire e venire giù per conto loro o sanabili solo con l’abbattimento? È normale che una città come Teramo si presenti ai propri cittadini non curata, sporca, sciatta, disadorna, senza nessun intervento di cura e di abbellimento? Non sarebbe assai più normale che Teramo si presentasse come quelle belle cittadine del Nord, specie in Friuli e nel Trentino, che appaiono ai visitatori e ai residenti belle, pulite, adorne, curate, con i balconi fioriti e le finestre ridenti? Anche in altre province della nostra regione ci sono cittadine così, basta pensare a Pescocostanzo, a Roccaraso, Rivisondoli. Perché Teramo non dovrebbe essere così? Non sarebbe normale che le vie cittadine fossero prive di buche, di voragini, di tombini chiusi dalla vegetazione spontanea? Non sarebbe normale che gli uffici comunali fossero efficienti, gli impiegati solerti e laboriosi, i parcheggi non tutti a pagamento e non così costosi? Non sarebbe normale che un’area come quella dove insisteva il mercato ortofrutticolo all’ingrosso, finalmente liberato delle strutture metalliche parzialmente crollate dopo un incendio e poi rimosse, non restasse inoperoso, senza una funzione civile e sociale, senza una precisa destinazione d’uso? Non sarebbe normale che alcune pratiche comunali non impiegassero anni e secoli per essere portate a termine e che certe decisioni, sia pure prese a fatica, venissero poi attuate e messe in pratica in tempi ragionevoli? Non sarebbe normale la cura della città invece di una incuria generalizzata, madre di un degrado inaccettabile?
Mi si obietterà che l’assessorato a cui alludo non dovrebbe chiamarsi assessorato alla normalità, ma assessorato alla manutenzione e che a Teramo c’è un assessore, Valdo Di Bonaventura, che sembra essersi votato proprio a questa ruolo e a questa funzione, andando qua e là per tamponare buche stradali, rimuovere platani cadenti e foglie cadute, ri-asfaltare strade o pezzi di strade dopo anni di trascuratezza. Rispondo che il buon Valdo non è un assessore alla normalità, perché qualsiasi suo intervento appare rivoluzionario, arrivando dopo anni di stasi e di incuria e quindi proprio non si può invocare la normalità quando si pensa a lui e a quello che fa, o cerca di fare. Non sarebbe normale che la notte i cittadini di Teramo si sentissero sicuri nelle proprie case, ma anche nelle strade e nelle piazze? E che pure di giorno in luoghi non certamente periferici come piazza Garibaldi si fosse sicuri di non dover assistere a risse e ferimenti? Certo che sarebbe normale, ma Teramo la normalità è diventata l’anormalità.
Un buon assessore alla normalità dovrebbe sapere ed essere convinto che un cestino di rifiuti ricolmo induce il cittadino a buttare i rifiuti nelle vicinanze, che la visione di strade e piazze sporche induce chiunque a continuare a sporcarle, che dovrebbe essere come un vigile oculato sempre attento a cogliere ogni pur piccolo segnale di anormalità e rimuoverlo, ripristinando la normalità. Servendosi dei vigili municipali non solo per fare multe ed elevare contravvenzioni, l’assessore alla normalità dovrebbe raccogliere ogni minima segnalazione e subito accorrere a rimettere a posto una mattonella scassata, a rimuovere un cenno di degrado, a ripristinare una situazione anomala, a restituire alla città ordine e garbo.
Mi rendo conto che questa convinzione, che esprimo convintamente, può parere a molti politicamente ingenua ed irrealistica, ma ritengo che chi la dovesse trovare così si sbaglierebbe e non di poco. La pulizia chiama la pulizia, la sporcizia chiama la sporcizia e la sporcizia materiale evoca e provoca quella morale e sociale. Sfido chiunque a trovare il coraggio di buttare una cartaccia lungo un viale fiorito, pulito come uno specchio, e a resistere alla tentazione di lasciarne cadere una lungo un viale sporco pieno di altre cartacce e poco curato. Sfido chiunque e dire che è normale che in pieno centro a Teramo ci sia una struttura degradata come il vecchio Campo Sportivo Comunale o come lo stabile in decadimento e in rovina che da anni insiste proprio davanti al Teatro Romano. La manutenzione evoca e provoca la normalità. Se sottoponi a visita periodica dei platani lungo un viale che abbelliscono da decenni, non sei poi costretto ad abbatterli quando ormai è tardi per qualsiasi intervento. Se curi giorno per giorno la tua villa comunale, non te la ritrovi poi squallida e infrequentabile, con la vegetazione naturale e spontanea che ha preso il posto di ogni altra cosa, le panchine sgangherate e consumate dal tempo.
Teramo è una città senza manutenzione periodica e perciò non è normale, ovunque regna la sporcizia e domina lo squallore. L’inefficienza è regina e gli amministratori sembrano preoccuparsi d’altro, ma anche in questo con poca efficienza. Problemi annosi attendono di essere risolti e decisioni che si sarebbero dovute prendere per fornire soluzioni adeguate attendono da anni di essere prese. Intanto nell’ombra si muovono personaggi di ogni colore che attendono di scorgere la pietra su cui edificare il proprio lucro ai danni della città, il cui capoluogo è sempre più spoglio e le cui periferie sono sempre più abbandonate. Le frazioni, quelle, sono al centro delle attenzioni e delle cure solo se, unendosi, sono riuscite ad eleggere un proprio rappresentante che ha poi pensato solo agli interessi della propria frazione anziché al bene collettivo generale. Quelle che non si sono assicurate un santo in paradiso o un consigliere nella maggioranza languono nell’attesa di cose che non avranno mai, da un’elezione all’altra, da una promessa mancata all’altra, da un’elezione all’altra. E così sarà.
Elso Simone Serpentini