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Virtupap"Al primo di maggio noi usiamo di
cucinare insieme ogni sorta di legumi fave, fagiuoli, ceci,
lenti, etc… con verdure et ossa salate, orecchi, e piedi pure
salati di maiali; é questa minestra chiamiamo virtù ovvero
cucina". Così il linguista Giuseppe Savini nel volume "La
grammatica et il lessico del dialetto Teramano" del 1881
spiegava il significato di "Virtù", piatto tipico della
tradizione gastronomica teramana, legato al culto della Terra in
occasione del Calendimaggio (arrivo della primavera),
festeggiato dalle civiltà contadine. Pentoloni pronti a bollire
in tutti i ristoranti, ma anche nelle case private per rinnovare
la tradizione culinaria del 1° maggio, quando a TERAMO di
mangeranno "Le virtù"ovunque.

Scrippigno, Misericordia e Barba
di frate al profumo di Aneto, sono considerati i elementi
caratteristici delle Virtù. Una sorta di zuppa, di cui non
esiste uno standard codificato, ma una vulgata tramandata in
famiglia che individua come prodotti essenziali del piatto le
verdure stagionali dell'orto e dei campi e pasta ammassata
fresca, a cui si aggiungono quelli che erano i prodotti avanzati
dall'inverno contenuti nella madia (dispensa). Fave secche,
lenticchie, cicerchia, fagioli, pasta secca, ma anche cotenna di
maiale e osso del prosciutto. La difficoltà di creare questo
piatto risiede nelle diverse modalità di preparazione e di tempi
di cottura di ognuno di questi elementi. Se in ambito abruzzese
i primi riferimenti documentari a "le Virtù" risalgono appunto
all'800, già nel 1400 il letterato e filosofo fiorentino
Coluccio Salutati, in una lettera, parlava del Calendimaggio di
Roma, in cui "i romani amano cuocere insieme altri tipi di
legumi i nuovi ortaggi, accontentandosi di mangiare soltanto le
virtù". Le virtù rappresentano quindi, sia la saggezza massaia e
la fantasia delle donne "virtuose", ma anche un fondamentale
momento comunitario.

Nella tradizione contadina si cucinavano e
si mangiavano insieme. Ancora oggi, il giorno del 1° maggio a
TERAMO si vedono viaggiare pentoloni nelle mani di chiunque da
una casa all'altra, per rinsaldare la trazione delle virtù, che
attira turisti da tutta Italia per gustare il piatto tradizione
e guai a chiamarlo minestrone, si rischia di rimanere a digiuno.