Giovedì 1° giugno sulla rastrelliera dei quotidiani dell'edicola di Porta Reale a Teramo vedo disponibile l'Unità, e subito ripenso al racconto che mi faceva spesso mio padre, democratico cristiano della prima ora e anticomunista fino al midollo, di quando vide Enrico Berlinguer per Corso San Giorgio, con l'impermeabile chiaro e una copia de l'Unità sottobraccio. Mio padre, che dei comunisti stimava solo lui, di quell'uomo notò l'umiltà, che quasi fece fatica a riconoscerlo scendere per il corso principale della nostra città come un uomo qualunque, perché in quel momento non accompagnato.
Quindi rivedere l'Unità sulla rastrelliera dei quotidiani è stato un quasi commovente déjà vu.
Ovviamente sapevo che Romeo Editore aveva rilevato non il giornale ma il marchio del quotidiano, la testata, per 910mila euro, che interruppe le proprie pubblicazioni il 1° giugno del 2017, fino al successivo fallimento nella totale indifferenza di Matteo Renzi, all'epoca ancora segretario del Partito Democratico (che era proprietario al 20% della testata) ma non più Presidente del Consiglio dei Ministri.
Tracollo che lasciò sul lastrico 21 dipendenti, che dalla sentenza di fallimento del 27 luglio 2022 emessa dal Tribunale di Roma non hanno ottenuto nulla, che già da prima di quel 1° giugno 2017 non ricevevano stipendio. Paradossale per un giornale marxista, nato accanto alle istanze del proletariato italiano.
La prima incongruenza che noto in testa al quotidiano, appena sotto la testata, è questa: "ANNO 100° N.15", quando in realtà il quotidiano fu fondato da Antonio Gramsci il 12 febbraio 1924, quindi non ancora centenario.
Poi, sempre in prima pagina, altre due incongruenze, un articolo a firma dell'esponente di +Europa Riccardo Magi, che difende a spada tratta l'utero in affitto definendo le contrarie determinazioni del Governo Meloni come “espressione del peggiore analfabetismo costituzionale”, e l'editoriale del direttore Piero Sansonetti che titola: “Il mio amico Fioravanti”, sì, proprio lui, Giusva, l'esponente dei N.A.R., il più grande criminale della storia italiana, un terrorista fascista riconosciuto colpevole con sentenze passate in giudicato di ben 95 omicidi, tra i quali gli 85 ammazzati a Bologna il 2 agosto 1980 alle ore 10:25. Per tutto questo fu condannato a 8 ergastoli e 134 anni e 8 mesi di reclusione.
Un record assoluto.
Però, siccome siamo in Italia, grazie agli sconti e alle offerte speciali del diritto italiano, dopo soli 26 anni di carcere e 5 di libertà vigilata, nell'aprile del 2009 torna in libertà all'età di 51 anni.
Due cose, tornando a mio padre e a Berlinguer, hanno sempre unito democratici cristiani e comunisti italiani, l'antiterrorismo e la tutela della famiglia, ma mentre sulla simpatia di Sansonetti per Fioravanti credo che non ci sia nulla da aggiungere, anche se il direttore de l'Unità si spella i polpastrelli sulla tastiera per giustificare gli scritti del terrorista fascista pluriomicida sul suo giornale – e ci spiega perché è giusto ospitarlo persino sul giornale di Gramsci: “Perché Fioravanti è sapiente. Perché non trovo non dico una ragione, ma nemmeno un centesimo di millesimo di ragione per immaginare di dovere esercitare una censura nei confronti di Fioravanti”, salvo poi sulle stesse pagine scrivere, nel lamento, dell'inarrestabile fase revisionista che sta attraversando il nostro mostro Paese, dell’onda di destra, brutta e fascista ecc. –, penso invece che sia utile rivolgermi a l'Onorevole Magi informandolo che, a proposito di “espressione del peggiore analfabetismo costituzionale”, con il preteso “diritto alla procreazione” – che continua a non esistere in natura per nessun essere vivente, ma che si pretendete di istituirlo per l'uomo – si impone di disporre a proprio piacimento della vita di un'altra persona, in più a scopo di lucro, azione moralmente inaccettabile e che in più viola l'articolo 1 del Codice Civile (1942) italiano, normativa che precede la Costituzione della Repubblica Italiana (1947) e che la Carta costituzionale comprende, non supera e rinnova per principio giuridico e di fatto. Tali norme, unitamente a quelle di carattere penale e procedurali, rappresentano le fondamenta della sovranità dello Stato, che così regola il convivere civile dei propri cittadini e non sono subordinabili a norme internazionali.
L'articolo 1 del Codice Civile italiano, base imprescindibile del nostro Stato di diritto, recita: “La capacità giuridica si acquista dal momento della nascita. I diritti che la legge riconosce a favore del concepito sono subordinati all'evento della nascita.
”
Tale principio trova ulteriore consolidamento nell'articolo 2 della Carta costituzionale, che recita: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.”
Il combinato disposto già di queste due sole norme del nostro diritto ci dicono che nessuno può disporre della vita altrui ovvero generare o fare generare per la vendita i propri figli, ma allo stesso tempo, impone, tornando al tema dell'utero in affitto (definizione che Mogi ritiene essere dispregiativa, ma di fatto così sta la questione), la registrazione anagrafica del bambino qualsiasi coppia genitoriale l'abbia riconosciuto come proprio figlio.
È certo che la realtà supera ogni pretesa del legislatore e nessuna norma funge da deterrente ma assolve alla mera funzione sanzionatoria, e neanche il compimento di un atto disumano, il più disumano che possa compiere un essere umano può scongiurare, cioè quello di pretendere per diritto di vendere e comprare i propri figli: solo una presa di coscienza di tali soggetti porterà a smettere questo altro abominio pensato e prodotto per il mercato globale dal Capitale.
MASSIMO RIDOLFI
Leggi anche di Massimo Ridolfi Il dibattito: alla ricca bancarella dei figli (https://www.certastampa.it/cronaca/56744-il-dibattito-alla-ricca-bancarella-dei-figli.html)