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FilocalamiUna parola scritta. E qualcuno che la legga.

Non serve altro, é tutto qui. 

Noi siamo fatti di questo. 

L’universo è fatto di questo.

È per una parola scritta, che esiste un Dio, ed è per quelli che la leggono, che esiste una fede.

È per una parola scritta, che esiste la scienza, ed è per quelli che la leggono, che esistono le invenzioni.

È per una parola scritta, che esiste una legge, ed è per quelli che la leggono, che esiste una civiltà. 

È per una parola scritta, che esiste la storia, edè per quelli che la leggono, che esiste un passato, un presente e un futuro.

È per una parola scritta, che esistono i libri, ed è per quelli che li leggono, che esiste la fantasia.

Ci pensavo ieri pomeriggio, nell’auditorium dell’Alessandrini, mentre ascoltavo i ragazzi del laboratorio di scrittura creativa dell’Istituto Comprensivo Zippilli-Noè Lucidi, che leggevano brani del nostro racconto.

Sì, nostro.

Mio e loro.

Il figlio paginoso e parolato di un’idea che avevo creduto folle e che, proprio per questo, avevo subito sposato con entusiasmo. 

Quando me l’ha proposta la professoressa Valentina Savini, suonava più o meno così: “Scrivimi l’incipit di un racconto, poi i ragazzi lo  continueranno”.

Semplice, no?

E invece no: è difficilissimo.

Un po’ perché non c’era un tema; un po’ perché non conoscevo i ragazzi; un po’ perché temevo che, alla fine, tutto si declinasse nella produzione di una sorta di temino allungato. 

No, peggio: di una favoletta scolasticante, qualche facciata di protocollo in bella copia, un paio di disegnini inevitabilmente infantili e poco più.

Conservavo, nel segreto ripostiglio dei miei stupori inespressi, la fiducia nell’unicità della professoressa Savini, perché conosco la profondità delle sue intuizioni.

Mai, avrei immaginato quello che poi è successo.

Mai avrei immaginato,  che quell’idea generasse il progetto dei “filocàlami”.

Quel mio piccolo incipit, e quello del collega Nicola Catenaro, sono stati affidati a due classi, la II D e la III A, e ai ragazzi è stata concessa libertà di creare.

E hanno creato.

Tanto e bene.

Così tanto e così bene, che quei due incipit hanno gemmato due racconti.

E un libro.

Due racconti veri.

E un libro vero.

Due racconti costruiti con un intreccio narrativo coerente, con una propulsione letteraria cristallina, con una affatto scontata definizione dei personaggi, con disegni originali e perfetti  e, ultimo ma non ultimo, con una naturale vocazione al neologismo che, senza averne la pretesa arrogante, ha più volte sfiorato la poesia.

Ne cito due per tutti: gazzellezza ed elefanza, evocati per definire la naturale vocazione di alcuni alla soave eleganza, così come la pachidermica pigrizia di altri. 

Nell’affrontare la pagina bianca, anzi: non bianca, ma già segnata dall’incipit, i ragazzi non hanno avuto remore né timori, facendo germogliare la fantasia, che scivolando tra i figli si è trasformata in parole, poi le parole si sono fatte pagine e le pagine sono diventate un libro.

Da amanticare per sempre. 

Perché, in fondo, è tutto qui: in una parola scritta. 

E in qualcuno che la ami 

Antonio D’Amore