Cormac McCarthy scriveva romanzi western nel chiuso della sua villa di El Paso, Texas: Cormac sognava cowboy sin da bambino, a Providence, Rhode Island, e null'altro della vita gli è interessato che raccontarci di cowboy che si guadagnano da vivere vendendosi da un ranch a un altro, correndo tra praterie e arsi canyon; e null'altro gli interessava della vita che i reietti, i migranti, i mezzosangue, tutti a un passo dall'illegalità, o già oltre l'illegalità, perché l'opera di McCarthy è che ci rivela che i cowboy sono solo dei reietti che sopravvivono saltando da un ranch a un altro; e sono certo che ha sognato cowboy a occhi aperti anche gli ultimi suoi giorni a Fanta Fe, New Mexico. Ed è tra i cowboy che ha passato la sua lunga vita.
La prima volta che lessi dei cowboy di McCarthy fu nel 1999, avevo ventisei anni e nessuno lo conosceva in Italia questo scrittore di storie di cowboy. Nessuno. E anche in America lo consideravano poco relegando la sua opera alla scrittura di genere – e che genere: il western è l'epica della modernità, il non plus ultra del cinema, e l'origine della Grande Letteratura Americana, perché sono tutti scrittori di western i grandi romanzieri americani, da Mark Twain a Ernest Hemingway, da Margaret Mitchell a William Faulkner, da Jack London a Jack Kerouac, da John Steinbeck a Stephen King, fautori della letteratura più influente del '900, quella che in Italia tutti cercano di imitare dai tempi di Cesare Pavese; la più proibita letteratura del '900 perché la più odiata da fascismo e comunismo. McCarthy quindi è stato trascurato dal mondo letterario americano, che si guardava bene dal frequentare, almeno fino al 2007, quando gli fu assegnato il Premio Pulitzer per il romanzo breve La strada (Einaudi 2010). Ma la piena notorietà è arrivata solo grazie al cinema quando i fratelli Joel ed Ethan Coen nel 2007 trasferirono sul grande schermo il suo romanzo
Non è un paese per vecchi (Einaudi 2007): prima di allora la sua opera era sostanzialmente sconosciuta in Europa, e non c'è cosa più triste del fatto che uno autore debba la sua notorietà al cinema, che è la tomba di ogni scrittore, di tutte le scritture.
Quel 1999 comprai quindi per corrispondenza Città della pianura (Einaudi 1998) in una edizione su licenza dell'allora Mondolibri, che proponeva la vendita di libri per corrispondenza in abbonamento, che te li spediva direttamente a casa tramite la posta i libri, prima di Amazon, prima di tutti, e la prima offerta era a scopo proporzionale, cioè pagavi tre quattro libri a poche lire e senza alcun obbligo per gli acquisti successivi, tant'è che dopo il primo invio interrompevo subito l'abbonamento per poi riprenderlo di nuovo non appena, ciclicamente, ritrovavo infilato nella cassetta delle lettere il rinnovato invito promozionale della Mondolibri ad abbonarmi alla loro libreria per corrispondenza, ché, se non ricordo male, erano loro stessi a decidere le spedizioni, vale a dire che comperavi i libri a prezzo stracciato ma sostanzialmente a scatola chiusa, almeno la prima volta, ma libri buoni, fatti bene, tradotti bene, in edizione rilegata e con copertina rigida
Non so che fine abbia fatto la Mondolibri, ma se fosse fallita, credo di aver contribuito in minima parte al suo fallimento, lo confesso; lo ho appena scritto.
Quindi in uno di quei pacchetti promozionali ci trovai nel 1999 anche il vecchio scrittore di storie di cowboy, che nel '99 aveva già sessantasei anni.
Ho davanti a me adesso quel libro, proprio quello. Ricordo bene le ore passate su quella copertina a sognare l'America, non quella dei grattacieli tutto acciaio e vetro ma quella impolverata, che inizia spostandosi verso Ovest, passato il Michigan.
Quella che sto guardando ora sulla copertina di Città della pianura è una foto in bianco e nero di una pianura arsa da qualche parte tra il Texas e il New Messico.
Sullo sfondo c'è un profilo collinare, e in alto il cielo terso di un duro giorno di sole a picco. La pianura è tagliata in due da una striscia d'asfalto. A destra c'è un palo della luce che porta la corrente elettrica da quelle parti. A sinistra si intravedono per metà una stazione di servizio e un automobile che fa rifornimento con la sagoma di un uomo accanto, all'impiedi. Più indietro, verso il profilo collinare, ci sono una balla di fieno, rotolata lì in mezzo chissà da dove, e un altro palo che porta la corrente elettrica ancora più in là.Però Città della pianura, che chiude la Trilogia della frontiera, che racconta le polverose vicende di John Grady Cole e Billy Parham, inizia così, dentro un giorno di pioggia torrenziale: «Si fermarono sulla soglia, pestarono gli stivali a terra per scrollare via la pioggia, sventolarono il cappello e si asciugarono l'acqua dalla faccia. Fuori, nella strada, la pioggia sferzava l'acqua stagnante facendo ondeggiare e ribollire il verde e il rosso sgargianti delle luci al neon, e le gocce pesanti danzavano sui tetti d'acciaio delle automobili parcheggiate lungo il bordo del marciapiede.»
Cormac sognava cowboy sin da bambino, da Providence, Rhode Island.
MASSIMO RIDOLFI