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Caro lettore, vorrei oggi spingere in avanti la nostra riflessione passando dal concetto di tempo a quello di luogo ed in particolare analizzare se ed in che misura la nostra città conservi oggi la dignità di una “funzione di luogo”.
In verità la storia sarebbe dalla nostra parte, tutti ricordano l’origine romana richiamando l’antica Interamnia (“città tra due fiumi”); pochi sottolineano la più risalente origine fenicia e l’antico toponimo di Petrut (“luogo rilevato tra due fiumi”); certo la nostra Comunità, soprattutto il luogo che essa abita da millenni, sono pregni di significanza storica, indice di una funzione che nel corso dei secoli Teramo ha saputo rinsaldare.
A titolo esemplificativo mi permetto di ricordarTi come la nuova colonia romana di Castrum Novum pagasse ai Praetutii il vectigal per l’attingimento dell’acqua. Potremmo rapidamente richiamare anche la centralità nell’Abruzzo Ulteriore I ovvero l’epiteto “la Dotta” nel Regno di Napoli; nel periodo medievale, la natura di Città Regia con il suo Vescovo in armi.
In altri termini non vi è stato momento nella nostra storia in occasione del quale sia mancato prestigio ovvero capacità di funzione del luogo deputato ad ospitare la nostra Comunità. La modernità ci ha portato invece i “superluoghi” che, per come ben chiaro a Marc Augè (“Non luoghi”, Eleutheria, 2024), non sono altro che “il sintomo di un cambiamento di scala in un tessuto urbano tendente a un progressivo decentramento …rappresentando un’intensificazione del concetto di non luogo, vale a dire di quegli spazi isolati dalla realtà cittadina e caratterizzati dall’assenza di scambi sociali”.
Ed effettivamente se il centro della nostra città risulta ancora occupato per circa un sesto della propria estensione dai volumi tristemente abbandonati dell’ex ospedale manicomiale, se le colline risultano ancora caratterizzate dai volumi vuoti di strutture pubbliche mai completate (area Casalena) ovvero di investimenti privati non felici (Teramo Alta), se l’asta fluviale risulta ancora occupata da relitti post industriali segno di spreco di denaro pubblico (inceneritore mai messo in funzione, discarica “La Torre”, la più grande discarica crollata di Europa) ovvero delle vestigia di realtà produttive che furono (ex Villeroy & Boch), se l’interno cittadino è puntellato da spazi pubblici abbandonati/pericolanti/sequestrati (dispensario Viale Crucioli, Casa dello Sport Via Taraschi, Ospedaletto C.ne Spalato, Collegio
Ravasco Porta Romana, vecchio Stadio Comunale, ex Università Viale Crucioli, ex Caserma Vigili del Fuoco Via Cadorna, Liceo Classico M. Delfico), comprenderai come Teramo
rischi di diventare un non luogo.
Ciò tanto più vero laddove i nuovi luoghi sono risultati sostanzialmente privi di reale capacità attrattiva. Le magnifiche e progressive sorti della nostra Comunità non si sono infatti certo realizzate con l’Ipogeo di Teramo Cult (meglio noto come il tagadà di Piazza Garibaldi) ovvero con il nuovo stadio sorto quale appendice di un centro commerciale fuori scala. E allora caro lettore comprenderai come abbia ben ragione Marc Augè quando, nel descrivere il proprio concetto di surmodernità, sottolinei una sovrabbondanza spaziale
che, unita a una sovrabbondanza di avvenimenti, determina la perdita di significato/funzione sia del tempo sia dello spazio (“nello scorrere veloce l’eccesso di tempo priva di significanza il luogo di accadimento del fatto sociale”).
Ti invito a riflettere sulle decine e decine di conferenze stampa, convegni, premi, feste di ogni genere che allietano la nostra giornata in uno scorrere sociale sempre più liquido (Bauman) del quale si perde o comunque non si riesce a cogliere il significato. Pensa ad esempio al diverso fluire delle stagioni ritmate dal premio letterario “Città di Teramo” che
assicurava ben più efficace presenza, nel panorama nazionale, del nostro luogo identitario. Ed allora comprenderai come i non luoghi sono il sintomo di una profonda crisi della coscienza, crisi derivante dal sempre minore interesse per l’interesse collettivo in un’assoluta mancanza di valori e, soprattutto, di un vero orizzonte comune.
Mutuando le parole di Marc Augè “essere teramano significherà qualche cosa?”, ecco, per trovare futuro, dobbiamo trovare funzione di luogo e quindi legge d’identità.
Dolores Ibàrruri

P.S. Un sincero ringraziamento va agli autorevoli Professori che si sono auto-attribuiti il riferimento alle “senili beffe di Buccari” del mio primo scrivere. Ciascuno in verità lo ha fatto con il proprio stile. Serpentini ha richiamato la figura dello pseudonimo e, da filosofo, ha maieuticamente invitato ad un confronto (naturalmente Elso lo pseudonimo è in verità una suggestione di riflessione volta a richiamare una figura di coerente passione e di totale impegno partigiano; chi scrive non ha alcuna pretesa di statura adeguata ma solo il ricordo di una ispirazione giovanile). Altro stile nella piccata risposta da altri data con argumentum ad personam che non esprime riflessione ma acredine, e come tale va rubricata, senza però non poter non rilevare come sia sfuggito il riferimento alla mancanza di capacità della classe dirigente che ben può estendersi, con un minimo di necessaria sincera autocritica, ad una non mirabile propria stagione assessorile che rimane la reale cifra della “messa a terra” di una vis polemica evidentemente da destinare a più “belle prove”

foto Adelchi De Luca da fb