Pur col rischio di essere frainteso, non mi e non vi risparmierò il piacere di poter scrivere e leggere che il discorso di fine anno, offerto oggi all’affollata platea dell’aula magna dell’Università di Teramo, è probabilmente il momento più “politico” che la nostra città, e probabilmente la nostra provincia, hanno vissuto negli ultimi cinque anni. E mi fermo a cinque, applicando il beneficio di una sorta di prescrizione morale a quello che, in termini di politica “vera”, questi stessi territori hanno saputo produrre. Il neo Rettore, con l’essenzialità dello stile che ha voluto imporre al suo mandato (e per essenzialità, mi piace sottolinearlo intendo la capacità di affrontare i temi veri, mondandoli delle periferie inutili del ragionamento) racconta dell’ultimo anno della vita dell’Ateneo, del quale ha vissuto da Magnifico solo l’ultimo mese, ma nel quale ha lavorato alla costruzione dell’intelaiatura portante di tutto il nuovo sistema. Anzi: della nuova visione, di quel cambio di prospettiva cioè, che sarà la stella polare di tutto il sessennio corsiano, Un cambio di propettiva che fa della visione il progetto, lavorando su due diverse direttrici: quella interna, riportando gli studenti al centro del cosmo universitario, nella consapevolezza del loro essere materia prima nella costruzione dei cittadini e, soprattutto, della classe dirigente del futuro; e quella esterna, che ridefinisce i contorni di un orizzonte spazio temporale, nel quale l’Università non è “di Teramo” per mera appartenenza geografica, ma lo diviene in quanto motore primo della vita culturale, sociale e (lo risottolineo) politica nel senso più vero, alto e nobile del termine. Quella che Corsi dettaglia, nel suo intervento (del quale a fine articolo trovate l'integrale), è anche una grande sfida, anzi: “la” grande sfida, una scommessa senza riserve, sorta di “all in” sul futuro, perché questo è il momento nel quale non ci si può più cosentire il lusso delle attese e il tempo delle previsioni. E’ il tempo del fare, ma di un fare nuovo, talmente nuovo da diventare rivoluzionario, che chiama tutti (e Corsi non a caso sottolinea più volte la necessità del vivere tutti insieme il momento) ad un cambio di prospettiva. Sia interno all’Ateneo, sia esterno, per scoprire magari, per la prima volta - e in questo la visione si fa davvero politica al limite della filosofia - che quella visione può essere unica e condivisa. E che “tutti insieme”, significa costruirlo il futuro, non subirlo.
Antonio D'Amore