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Umberto Adamoli riferisce nel suo memoriale (Umberto Adamoli, Nel turbinio di una tempesta. Dalle pagine del mio diario, 1943-44, Tipografia Cioschi, 1947) che nel pomeriggio di domenica 16 ottobre 1943 apparvero improvvisamente sul cielo di Teramo, provenendo dalla Specola, alcuni cacciabombardieri anglo-americani, mentre nel quartiere della stazione si svolgeva un frequentato passeggio. Apparvero come “spiriti folli”, riferisce Umberto Adamoli, che aggiunge: “Dopo una rapida evoluzione sui colli, si dirigevano, a bassa quota, oltre la vallata del Tordino, oltre Villa Mosca. Passavano, ma tornavano subito indietro, piombando, come bolidi, fragorosamente, su la strada, su le case, sullo scalo ferroviario, per sganciarvi il loro micidiale carico. Compiuta, nella fuga disordinata e nelle grida dei passanti, la loro funesta opera, riprendevano baldanzosamente quota, giravano, scomparivano”. Si ebbero cinque morti, tra cui un bambino, la cui mamma, che lo sorreggeva, perse un braccio. La casa di Adamoli rimase lesionata. Quella sera stessa egli fu chiamato dal Comando Generale Tedesco, per dare il proprio parere su un dilemma che si poneva con urgenza: far evacuare la città, nell’ipotesi pressoché certa che gli aerei anglo-americani sarebbero tornati, o si sarebbe dovuto allontanare il Comando Tedesco, con i suoi uffici e le sue organizzazioni? Adamoli consigliò ai tedeschi di trasferire il Comando e con abili sotterfugi bocciò via via le ipotesi di localizzazioni diverse nel teramano, riuscendo a convincere i tedeschi a spostarlo a Rocca di Mezzo. Il trasferimento iniziò pochi giorni dopo, ma con tutta evidenza attraverso lo spionaggio gli anglo-americani ne furono informati e sottoposero la nuova sede ad un bombardamento assai intenso.
Adamoli rimase in carica come podestà anche dopo la costituzione dello Stato Fascista Repubblicano, trasformatosi poi nella Repubblica Sociale Italiana. Ai primi di dicembre del 1943 le autorità tedesche ordinarono l’arresto in massa di tutti gli ebrei e Adamoli si diede molto da fare per avvertire per tempo il maggior numero di famiglie israelite, invitandole ad allontanarsi dalla città e salvandole così dalla deportazione. Dei tedeschi che occupavano Teramo, Adamoli fa un descrizione precisa e impietosa, dicendo che non tutti risultavano aderenti all’immagine che si aveva della popolazione tedesca, ritenuta generalmente moderata nelle sue esigenze, di severi costumi, dotati di molta disciplina, di un senso superiore dell’ordine, di un rigoroso controllo di sé e dei propri atti, di un rispetto addirittura fanatico delle leggi. Così erano parsi a chi era stato in Germania, ma quelli capitati a Teramo non si rivelarono aderenti a questi stereotipi e provocavano in lui una certa delusione. Rivelavano la loro “doppiezza”. “Non ne volevano proprio sapere” scrive Adamoli “di quei sacrifici imposti dalla guerra, ai quali filosoficamente si adattava l’ufficiale italiano. Davano, con le loro non moderate esigenze, rendendosi così maggiormente invisi, non poco fastidio agli uffici e alla popolazione. Nella ricerca delle case, occupavano, tra le migliori, non soltanto quelle disponibili per sfollamento, ma anche quelle altre, i cui proprietari erano presenti. Imponevano ad essi senza eccezioni e senza discussioni, creando situazioni penosamente difficili, lo sgombero in poche ore. Una volta dentro vi apportavano modifiche, non esclusa la sostituzione con mobili prelevati altrove, da rendere non facile la ricomposizione della casa, alla loro partenza. Per i mobili che rimanevano, s’intende. Normalmente, partendo, portavano con sé ogni cosa, dalla sedia al pianoforte, se vi si trovava”.
Si rivelavano efficientissimi nel trovare tutto ciò che veniva loro nascosto, e non servivano rifugi o interramenti di viveri o bene mascherate murature. Tutto scoprivano e tutto prendevano, senza riguardi per nessuno. Si era illuso chi aveva immaginato che i tedeschi, con la proclamazione della Repubblica Sociale Italiana, avrebbero continuato a considerare gli italiani come amici. Dopo l’armistizio dell’8 settembre, che essi consideravano un tradimento, avevano preso a considerare gli italiani con disprezzo, che manifestavano in tutti i modi, senza riguardi per chi diceva di voler combattere i partigiani invece di favorirli. Nonostante fossero nordici, scrive ancora Adamoli, soffrivano molto il freddo, perciò requisivano tutto il carbone per le loro stufe, che riscaldavano i loro uffici e i locali da essi occupati, mentre quelli teramani, le case e perfino le scuole, rimanevano senza riscaldamento. L’analisi di Adamoli è impietosa. Scrive: “Né erano meno esigenti per i bisogni dello stomaco. Non apparivano mai sazi. Forse avevano troppo digiunato, nella loro terra, nel regime di economia, per la preparazione alla guerra, che insanguinava il mondo. Volevano evidentemente reintegrare il perduto, a scapito degli altri. Dei comuni cibi non erano soddisfatti. I loro pranzi, innaffiati da ottimi vini, che gustavano contadine dovevano lavorare d’astuzia per sottrarre alla requisizione il loro pollame”.
Adamoli è ancora più severo nei suoi giudizi con gli ufficiali tedeschi, dicendo che erano “burberi, severi, inflessibili”, anche se talvolta familiarizzavano anche troppo con i soldati, soprattutto nel Circolo Teramano che il 10 dicembre 1944 diventò Casa dell’Asse e diventò soggiorno preferito dei militari in licenza dalla vicina linea del fronte Gustav. Quando gli ufficiali offrivano una festa o un ricevimento, invitavano autorità ed elementi della milizia fascista, ammettendo anche i soldati, con i quali parlavano e scherzavano quasi fossero di pari grado. Sedevano insieme a tavola, in piena promiscuità di gradi, senza alcuna distinzione e la reciproca cordialità aumentava a mano a mano che cresceva la quantità del vino bevuto. I soldati, però, non abusavano di questa familiarità, mantenendo un composto e disciplinato contegno. Ai ricevimenti degli ufficiali tedeschi al Circolo Teramano, e soprattutto alle serate danzanti, prendevano parte anche alcune signore teramane altolocate, alcune delle quali seguirono poi al Nord la truppa in ritirata e tornarono in città solo dopo il 1945, a guerra finita. Quelle rimaste furono poi “rapate” quando i tedeschi lasciarono Teramo e arrivarono i partigiani. Diversamente si comportavano i soldati tedeschi in transito, diretti al fronte. Adamoli li ricorda “robusti, vigorosi, aitanti”, si distinguevano dagli altri per la loro “andatura sciolta, decisa, superbamente marziale”, sembrava che nulla potesse fermarli quando li si vedeva camminare per la città. Erano prepotenti anche loro, apparivano decisi nella loro azione, si vedeva che erano disposti al sacrificio della propria vita, non sembravano mai stanchi o sfiduciati, certi nella vittoria come dicevano nei loro canti di marcia.
Adamoli affrontò con coraggio la loro tracotanza, forte della sua carica di podestà affrontò il comandante tedesco generale Zanthier, facendo breccia sul fatto che fosse non tedesco, ma austriaco e cattolico, e riuscì ad ottenere da lui un’ordinanza, che venne affissa alle porte della città, con la quale si impartivano rigorose disposizioni sulla condotta che dovevano tenere i soldati tedeschi di stanza a Teramo o anche solo di passaggio. Non fu a pieno rispettata, ma apportò notevoli benefici e, soprattutto, diede allo stesso Adamoli il modo di recarsi dal generale ad esprimere le proprie rimostranze nel caso di inosservanza dell’ordinanza. Cosa che fece con grande coraggio, soprattutto nell’occasione in cui, grazie anche a mons. Giovanni Muzi, che la dirigeva, venne salvata la Biblioteca Provinciale “M. Delfico”, nei cui locali alcuni soldati tedeschi, che si trovavano nell’attiguo Liceo trasformato in ospedale, erano penetrati sfondando una porta. Adamoli ottenne che i soldati tedeschi venissero puniti e la Biblioteca fu salva.
ELSO SIMONE SERPENTINI
(2/continua)