L’altra sera ho potuto rifare un giro per le strade di Teramo. Dopo tanto tempo. Non guidavo io. Per fortuna. Un delirio. Girare per le vie di Teramo è un delirio. Sembra una città bombardata, Beirut, o poco meno. Ovunque impedimenti, impalcature, nastri bianchi e rossi di cantiere. Cantieri di fabbricati e di ricostruzione. Il terremoto c’è stato qualche tempo fa. Invece sembra che sia finito ieri e che ora si stia correndo ai ripari. Cosa è successo? Come mai proprio, dopo tanto tempo, proprio ora, tutto questo improvviso fervore di costruzioni e ri-costruzioni? Sono arrivati i finanziamenti, forse, tra bonus, extrabonus, superbonus. Tutti spendono, tutti incassano con i lavori. Anche se l’impressione è, stando ai cartelli di cantiere, che a incassare siano pochi. C’è puzza di monopolio nell’assegnazione dei lavori. C’è sentore di cazzuole e di mattoni, ma anche di squadre e di compassi. Chiuso il Liceo, piazza Dante sembra terremotata ora, altre strade del centro storico sono intralciate ora a destra ora a sinistra e costringono a gimkane tortuose. Sullo stradone, diventato uno stradino, si procede in coda, sembra una pista da bob. I cordoli si presentano all’improvviso e si fa fatica a vederli. Sembra un fervore di vita e di nuovo che avanza, ma si capisce che non è così e che c’è qualcosa di impazzito nell’aria. Non può essere. Non può essere che ci siamo ridotti così. La Beirut d’Abruzzo. La confusione. Si installano i cordoli, ma si balla sulle buche. C’è chi si arrangia, nella guida. Così qualcuno ti sbuca all’improvviso da destra, qualcun altro da sinistra, chi ti sorpassa dove non potrebbe e dove non dovrebbe, c’è il pedone che ti attraversa la strada nel buio o nella penombra di vie poco illuminate, chi ti suona il clacson con insistenza perché vai piano senza accorgersi che hai un’auto davanti che non ti consente di procedere e ci costringe a fermarti. Ci sono auto ferme o in sosta in doppia e anche tripla fila, chi riparte improvvisamente e c’è chi svolta di colpo senza mettere la freccia. Già non sono indiani, e i teramani non hanno mai amato le frecce, sia che debbano svoltare a destra sia che debbano svoltare a sinistra. Davanti a qualche negozio rimasto aperto diverse automobili in fila sono parcheggiate in gruppo, senza un ordine stabilito. Da qualche parte stanno scavando, ci sono cartelli che ti impongono una deviazione, si è costretti a girare il volante ora di qua ora di là. Sembrano tutti impazziti. Dove vanno i teramani? Verso dove vanno? Quali sono i loro desideri? Quali i loro sogni? Quali i loro bisogni? È un flipper. Teramo è un flipper, si va, si rimbalza, si procede, si torna indietro, si scansa il pedone, un’auto, un muretto, un cartello stradale, si abbatte un birillo, si salta su una buca. Non sono cadute le bombe. No. Nessun aereo ha sganciato ordigni micidiali. È che Teramo sta andando verso il nulla, vestita di nulla, senza sapere altro che il nulla, non sperando più nulla, senza credere più in nulla. Spinti dal nulla. In alcuni punti della città a frotte gruppi di sconosciuti che si capisce subito sono impegnati inattività poco lecite. C’è da aspettarsi di tutto, un agguato, una coltellata nell’ombra, uno scontro fra clan, una molotov tra i piedi. Spazi di aggregazione nessuno. Spazi per attività culturali nessuno. Nessun teatro, nessun cinema serio. Biblioteche e sale di lettura senza personale. Archivio di Stato senza personale. Amministrazione comunale cieca e muta, e sorda. Presidente di provincia che appare come un simulacro di se stesso. Cieco sordo e muto anche lui. Forze di polizia e dell’ordine impotenti. Siamo tutti senza una bussola morale e intellettuale. Nelle ore di punta auto impazzite sulle strade e strade del centro deserte, buie e insicure. Tutti a casa. C’è il coprifuoco senza che ci sia una guerra. Forse c’è una guerra che non si vede e non si sente, ma se ne vedono solo gli effetti. I teramani sono palle impazzite dentro un flipper, forse sono dentro un’arca di Noè e fuori c’è un oceano in tempesta. Si va verso il nulla, vestiti di nulla, senza sapere nulla. Senza un perché. Già, Teramo, Teramo perché? Teramo per chi? Teramo per che cosa?
Elso Simone Serpentini