E se fosse un falso? Se davvero il “Guerriero di Capestrano”, oggi simbolo d’Abruzzo tanto che la Regione ha scelto di metterlo sul proprio stemma, rifacendo tutte le bandiere ufficiali, che in questi giorni si stanno distribuendo a tutti i 305 Comuni, fosse una bufala?
Sulla statua col cappellone si sta combattendo una vera e propria guerra, approdata anche alle aule giudiziarie, tra misteri e smentite, documenti nascosti e prove perdute.
Ma andiamo per ordine.
Cominciando dalla versione ufficiale: il Guerriero è stato trovato, nel 1934, dal contadino Michele Castagna, che col bidente stava lavorando un suo terreno. Sentì di aver colpito una pietra, e scoprì che invece era una statua. Gli archeologi, identificandola, la definirono originaria dell’antichissima città di Aufinum, oggi Capestrano, dissero che risaliva al sesto secolo avanti Cristo e che, ovviamente, si trattava di un ritrovamento eccezionale, anche per la “stranezza”della statua: è alta due metri, non si è mai chiaramente stabilito se sia un uomo, visti i fianchi da donna, è armata di ascia e pugnale, ma quel cappello così grande non è certo un elmo da guerra, forse è un ornamento da parata.
Secondo la versione non ufficiale, invece, quella statua sarebbe stata fabbricata da un antiquario napoletano, con la complicità dello stesso contadino, solo per potersi appropriare del premio di 12.500 lire introdotto da Mussolini durante il Ventennio, per chi avesse contribuito ad incentivare il patrimonio artistico della nazione. Erano tante, quelle lire, più o meno undicimila euro di oggi. A sospettare la truffa storica è stato un regista abruzzese, Alessio Consorte, che qualche anno fa ha realizzato un documentario sul guerriero, svelando l’esistenza di una lettera firmata dal gesuita archeologo dello Stato Pontificio Antonio Ferrua, che scrivendo ad un archeologo abruzzese diceva di aver avuto notizia dal monsignor Stanislas Le Grelle, Scrittore della Biblioteca Vaticana, che la statua era stata appunto fabbricata a Napoli.
A riprova della falsità, il regista riferisce che le analisi sulla statua non avrebbero evidenziato tracce di fosforo, che invece sarebbe immancabile in un blocco di marmo rimasto sepolto almeno 2200 anni.
I sostenitori dell’autenticità, invece, spiegano che la superficie della statua è stata sottoposta a diverse operazioni di restauro, negli Anni ’30, piuttosto invasive e non proprio rispettose dell’opera. Chi avrà ragione? Ci vorrebbe una prova scientifica, e qui la questione s’ingarbuglia, perché quella prova scientifica c’è, o meglio: ci sarebbe.
Si tratta di un’analisi con la fluorescenza a raggi x, che il Ministero avrebbe sempre sostenuto di possedere e che, sempre secondo il Ministero, proverebbe l’autenticità del guerriero. Sospettando che non esistano o che non siano scientificamente corrette, di quelle analisi il regista Consorte ha chiesto copie per anni, senza fortuna. Il Ministero non le mostra. Adesso, però, tutto sta per cambiare: il Tar di Pescara ha infatti accolto il ricorso del regista, ordinando allo stesso Ministero della Cultura di fornire tutta la documentazione scientifica relativa agli esami chimici con metodo XRF (fluorescenza ai raggi X) effettuati sul Guerriero di Capestrano. La verità è vicina: il Guerriero si prenderà finalmente il suo posto nella storia, o la Regione dovrà rifare un’altra volta tutte le bandiere?