Piazza Martiri Pennesi ricorda la fucilazione del 23 settembre 1837 a Teramo di otto dei partecipanti al moto antiborbonico registratosi nella città di Penne il 23 luglio 1837 sotto lo sprone di Clemente de Caesaris, al grido: "I Re, i Signori, i ricchi si sono / divisi fra loro la terra, / inventando due tremende / parole, il mio e il tuo; / siepe di ferro fra te e i tuoi bisogni. / Nessuno ha diritto al superfluo / fino a che vi sarà un sol uomo / che manchi del necessario." Clemente de Caesaris, però, salvò la dura pellaccia del massone e passò il resto della vita a scrivere poesie. Dalla Storia, come detto, i più furbi, sempre quelli che slanciano altri al massacro, troppo spesso si vanno a salvare, ma dal processo di cementificazione non si salva nessuno, e non si torna indietro. In questi giorni si discute sull'abbattimento e basta del brutto Palazzo della Sanità eretto proprio nella piazza della nostra città intitolata agli otto martiri di Penne. In molti, pare, si vorrebbe evitare la costruzione della nuova sede al posto del brutto palazzaccio per fare risorgere la piazza storica, magari adibita a verde. Immaginiamo allora, in assenza del vecchio e del nuovo palazzo, che cosa ne rimarrebbe: un rettangolone insulso delimitato sui lati corti dal palazzone INCIS e dal fianco del palazzaccio dell'INPS e aggregati - e sui lati lunghi altri incongrui fabbricati. Sicuramente non risulterebbe un gran bel salvataggio perché l'obbrobrio architettonico che ne è stato fatto della nostra città rimarrebbe ancora più evidente. E soprattutto: il verde che c'azzecca? Serve forse in questa città un altro luogo dove portare a cacare i cani? No, cari cittadini volenterosi, dal processo di cementificazione del centro storico, ormai annoso, non si torna più indietro. E poi il nuovo palazzo non parrebbe poi così brutto, a vederlo dal computer disegnato, e, sicuramente, rispetto al vecchio, l'architettura di Teramo ne guadagnerebbe. Bisognerebbe farsi un poco più tedeschi e meno nostalgici, come quelli che si affacciano sulle rive del Reno, che dopo lo sbriciolamento provocato dalle bombe della Seconda guerra mondiale a fabbriche e palazzi, ne hanno fatti di nuovi spazzando le insensibili vecchie macerie, creando così dei musei di architettura a cielo aperto, come nella città di Düsseldorf, coi suoi palazzi torti, argentati, colorati, finestrati, che giocano di riflessi col grande fiume, perché si affacciano sul vecchio portocanale industriale, recuperato alla dopo Storia e al degrado. Certo, anche questa città oggi sembra vittima di un grosso bombardamento, anche se non se ne è sentita fischiare una di bomba; e bisognerebbe passeggiarla con indosso elmetto pettorina gialla e scarpe antinfortunistiche, perché questa nostra ormai è una interminabile città cantiere, ma abbattere per costruire è sicuramente una azione più interessante dell'esercizio malinconico della nostalgia. Il futuro? Beh, di futuro in questa città e in questa nazione non si è mai trattato; al massimo si arriva a pensare a cosa farsene del prossimo quarto d'ora, cioè se prendersi un aperitivo o l'ennesimo caffè della giornata.
MASSIMO RIDOLFI