RISPOSTA AL SICET
Dopo il nostro comunicato, il SICET ha deciso di replicare. Come ci aspettavamo, invece di fare autocritica e assumersi la responsabilità politica delle proprie dichiarazioni, ha rincarato la dose, tentando goffamente di giustificarsi con una toppa peggiore dello strappo. Tocca quindi tornare sul punto con maggiore chiarezza.
La domanda da cui ci sentiamo di partire è semplice ma decisiva: che ruolo sta assumendo il SICET? Da quando in qua un sindacato degli inquilini si arroga il compito di controllare chi è moroso e chi no? Può sembrare una questione tecnica, ma è in realtà un passaggio politico fondamentale. Perché nel momento in cui un sindacato decide di trasformarsi in braccio amministrativo di un ente pubblico, riducendosi a un’appendice della gestione istituzionale dell’abitare, rinuncia alla propria funzione storica di parte, al proprio compito di creare conflittualità sociale.
Il SICET è (o dovrebbe essere) un sindacato degli inquilini. E come tale dovrebbe difendere, senza ambiguità, l’accesso alla casa per tutti e tutte, senza se e senza ma. E invece assistiamo a un rovesciamento pericoloso: un sindacato che, invece di rivendicare i diritti, accetta il linguaggio della divisione e del sospetto all’interno della stessa classe sociale. Un linguaggio che dissolve i legami di solidarietà tra chi vive la stessa precarietà abitativa. Un sindacato che, invece di denunciare l’abbandono istituzionale e lo smantellamento del welfare abitativo, finisce per legittimare chi quel disastro lo ha prodotto, e intanto alimenta la guerra tra poveri.
Ricordiamo, anche se dovrebbe essere superfluo, che i controlli sulla morosità spettano all’ATER, che è un ente pubblico. Non al sindacato. Eppure sarà che, a furia di leccare gli stivali del potere, si finisca per perdere l’orientamento fino a non distinguere più da che parte si sta. Del resto, la ghianda non cade lontano dalla quercia. La CISL, casa madre del SICET, dell’8 e 9 giugno, schierandosi senza vergogna con Confindustria, con la Meloni, con gli interessi padronali. Altro che sindacato: siete diventati un argine contro ogni spinta dal basso, contro ogni tentativo di riscatto sociale. La maschera è calata, e ve la siete fatta scendere senza troppo pudore.
Ma torniamo alla sostanza. A che pro un sindacato si presta a una narrazione simile? A cosa serve un sindacato degli inquilini che, invece di lottare, si dedica appassionatamente a fare il controllore? Perché questa ossessione per le colpe individuali, mentre intorno a noi crollano i presupposti stessi che dovrebbero garantire il diritto all’abitare?
L'esperienza quotidiana, concreta, che da anni portiamo avanti nei quartieri popolari, a contatto con le famiglie lasciate sole a districarsi tra burocrazia, abbandono, povertà strutturale ci delinea un quadro differente da quello descritto dal Sicet. Sappiamo chi vive nelle case popolari: conosciamo la loro fatica, l’angoscia, i lavori sottopagati, la precarietà, i ricatti, l’attesa.
E allora, perché costruire una narrazione pubblica interamente centrata sulla figura del furbetto? A chi serve? Di certo non a chi una casa non ce l’ha. Di certo non a chi vive in palazzine fatiscenti, senza riscaldamento, senza ascensori, senza manutenzioni da anni. Di certo non a chi aspetta da troppo tempo un’assegnazione che non arriva mai.
La narrazione che il SICET ha scelto di portare avanti in questi giorni non è un’analisi della realtà. È una scorciatoia ideologica, tossica, utile solo a chi da anni tenta di smantellare pezzo dopo pezzo il diritto alla casa. È un linguaggio che avremmo attribuito, senza esitazione, al blocco reazionario, ai populismi securitari, a chi considera il welfare un privilegio da eliminare. E invece lo ritroviamo, incredibilmente, in bocca a chi dice di difendere gli inquilini. E guarda caso, torna utile in un momento storico in cui si investe solo su privatizzazione e riarmo, e si abbandona ogni idea di politica sociale abitativa.
Alimentare questa narrazione, che lo si faccia consapevolmente o meno, significa diventare uno strumento nelle mani di chi vuole affossare il diritto all’abitare.
Significa spostare l’attenzione dalle responsabilità collettive (Regione, Stato, ATER, Comune) a presunte colpe individuali, come se il disastro dell’edilizia pubblica fosse colpa dei morosi, e non dell’abbandono sistemico delle politiche sociali.
Allora, caro SICET, ci permettiamo di chiedervelo ancora una volta: qual è oggi il vostro ruolo politico? Dov’è finito il conflitto? Dov’è la battaglia per i fondi, per le ristrutturazioni, per gli alloggi? Dov’è la voce che dovrebbe farsi sentire contro Regione e Stato per pretendere più edilizia pubblica, più assegnazioni, più garanzie per chi è in difficoltà?
Perché è da lì che si parte, non dai furbetti.
È lì che si decide se il diritto alla casa resta una promessa vuota o diventa realtà.
La casa è un diritto.
Smettete di fare i custodi dell’ordine e della disciplina.
Ricominciate a portare conflitto.
Centro Politico Santacroce e Asla USB