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C'è voluto più di un decennio perché la giustizia civile riconoscesse ciò che la vita aveva già chiarito in modo brutale: che nessuna somma potrà mai colmare il vuoto lasciato da un marito e un padre ucciso, ma che almeno un risarcimento può offrire un sostegno concreto a chi, da allora, ha vissuto nel dolore e nella solitudine. Susira Kelum Sattambi, cingalese di 30 anni, venne accoltellato a morte nel 2013 sul pianerottolo di casa sua a Garrufo di Sant’Omero, dal vicino di casa e connazionale Udara Chandima Kolamunnage, all’epoca 29enne. I due avevano trascorso la serata insieme. Una lite improvvisa, l’esplosione della violenza e il gesto fatale.  Condannato in via definitiva nel 2016 dalla Cassazione a dieci anni e otto mesi per omicidio volontario con rito abbreviato, Kolamunnage ha terminato da poco di scontare la pena. Solo adesso però, dopo dodici anni, è arrivata anche la sentenza del tribunale civile di Teramo che gli impone di risarcire la famiglia della vittima con circa 700mila euro, di cui 100mila già disposti come provvisionale. Una cifra che, per la moglie di Susira, non cancella né il trauma né l’ingiustizia di aver cresciuto due figli da sola: il secondo, nato appena un mese dopo la tragedia. Un intero nucleo familiare distrutto. L’uomo, operaio, era l’unico a garantire il sostegno economico alla moglie e ai bambini.