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15893_item_5-png.webpSi sono infrante contro il muro di neve e ghiaccio del pendio himalayano dello Jalung Ri le speranze di ritrovare gli scalatori ancora dispersi dopo la valanga di lunedì scorso, che ha travolto la spedizione italiana diretta al Dolma Khang.

Anche il tentativo di recupero condotto dagli esperti italiani Manuel Munari, capo di Avia Mea e istruttore pilota, e Michele Cucchi, guida alpina e soccorritore, è fallito a causa della compattezza dello strato nevoso. È lì che si concentrano ora, in condizioni quasi proibitive, le ultime operazioni di ricerca di Marco Di Marcello, biologo 37enne con doppio passaporto italiano e canadese originario di Castellalto, e dell’altoatesino Markus Kirchler. Con il calare della quinta notte, che difficilmente i due alpinisti avrebbero potuto affrontare in vita, si chiude il sipario su una delle più gravi tragedie dell’alpinismo italiano recente. La montagna ha già chiesto un pesante tributo: Paolo Cocco, fotografo abruzzese di Fara San Martino, Alessandro Caputo, 28 anni, milanese, e Stefano Farronato, 45 anni, veneto, sono morti nei giorni scorsi nell’area del Manaslu Peak, teatro di un altro dramma. La notizia della sospensione definitiva delle ricerche, arrivata nella mattina di oggi, è stata accolta con dolore e rabbia dalla famiglia Di Marcello.
«Abbiamo avuto la brutta notizia che le ricerche di Marco sono state sospese», ha dichiarato Gianni Di Marcello, fratello minore del biologo, che dalla casa di Villa Zaccheo di Castellalto ha mantenuto per quasi una settimana i contatti diretti con i soccorritori, inviando le coordinate del segnale satellitare indossato dal fratello.

Con il senno di poi, quelle tracce — che mostravano spostamenti apparentemente regolari — si sono rivelate rilevazioni automatiche del dispositivo, influenzate da un margine d’errore che ha fatto sperare, forse troppo a lungo, in una sopravvivenza impossibile. Un’illusione smentita anche dal silenzio social di Marco, che da giorni non inviava più immagini o messaggi attraverso il satellitare per raccontare la spedizione sul “tetto del mondo”. Sul pendio dello Jalung Ri, le coordinate non coincidono e le sonde dei soccorritori non riescono più ad affondare. La neve, compressa e mista a blocchi di roccia trascinati a valle, potrebbe nascondere profondi crepacci e rendere ogni intervento impraticabile. «Il giorno della salita verso la vetta — hanno ricostruito Munari e Cucchi — la giornata era splendida, ma il problema covava già da una settimana: le abbondanti e anomale nevicate hanno creato una condizione eccezionale e imprevedibile, con il cedimento dell’intero pendio su cui si muoveva la spedizione». La montagna ha chiuso così un altro capitolo di dolore, nel silenzio rarefatto dell’Himalaya, dove il sogno di conquista si è trasformato, ancora una volta, in tragedia.

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