“Ricordatevi di pregare per me». Questa è la frase che papa Francesco ha ripetuto più spesso nel corso del suo papato. Alla fine di ogni udienza, di ogni Angelus, di ogni incontro lo abbiamo sentito ripetere insistentemente: “Ricordatevi di pregare per me”. Perché tanta insistenza? Tuttavia, non ci dice di pregare soltanto per lui, insiste perché preghiamo anche per il mondo, per la pace, per coloro che soffrono, per noi e il nostro ambiente, per le nostre famiglie e per coloro che ci fanno soffrire, per il nostro lavoro, la nostra salute… Il Papa non pretende di appropriarsi della nostra preghiera. Ci invita a pregare come faceva in molte occasioni Gesù. Con fiducia e senza perderci d’animo. La preghiera “è come un grido che esce dal cuore di chi crede e si affida a Dio”. E con il grido di Bartimeo, il mendicante cieco di Gerico che nel Vangelo di Marco sente arrivare Gesù e lo chiama più volte, invocando la sua pietà. La preghiera, scrive Francesco “è il respiro della fede, è la sua espressione più propria”. Che aggiunge: “La preghiera è grido, il silenzio è soffocare quel grido”, una specie di “omertà”. La preghiera, come atto di comunicazione con Dio, è fondamentale nella vita cristiana. Questa pratica non solo rafforza il nostro rapporto con Lui, ma ci aiuta anche a trovare pace, speranza e direzione in mezzo alle difficoltà quotidiane. L’importanza della preghiera nella vita quotidiana risiede nella sua capacità di trasformare il cuore, di mantenerci in comunione con Dio e di guidarci sul cammino della fede. Nel cristianesimo, la preghiera è il mezzo attraverso il quale i credenti possono comunicare direttamente con Dio. Attraverso di esso esprimiamo la nostra gratitudine, i nostri bisogni e i nostri sentimenti più profondi. Gesù stesso ci ha insegnato a pregare, dandoci l’esempio nella sua vita quotidiana e in momenti chiave come il Padre Nostro, una preghiera che riassume perfettamente il nostro rapporto con il Creatore.La preghiera è protesta contro una condizione penosa di cui non capiamo il motivo; il silenzio è limitarsi a subire una situazione a cui ci siamo adattati. La preghiera è fede,èsperanza di essere salvati; il silenzio è abituarsi e rassegnarsi al male che ci opprime, e continuare così.Nel caso della malattia di papa Francesco riconosciamo una situazione simile a quella che ognuno di noi ha vissuto. Papa Francesco inaugurò il suo ministero chiedendo al popolo di Dio di essere benedetto e invocando di “non dimenticarsi” di pregare per lui. In questo momento noi onoriamo questa richiesta, e la sigilliamo al centro della nostra promessa. Che altro? Niente altro. Il di più viene dal maligno, anche quando non sembra.Naturalmente, questo non significa adottare toni devotamente melensi e obsolete retoriche sacrali che attingono ad una arcaica mitologia del corpo del Papa e avvolgono “l’augusto infermo” nella malcelata ipocrisia di uno sguardo che, in realtà, si augura la sua uscita dalla scena del potere. Noi dovremmo essere vaccinati, ormai, su questa ambiguità. Del resto, proprio da lui abbiamo imparato, nel modo più serenamente diretto e piacevolmente ruvido uno stile che non dissimula la normale fragilità e la vulnerabilità dei suoi passaggi di vita. Essi pure, alla fine, sono il segno di un rapporto intenso e profondo con “il popolo”: al quale ogni servitore del Vangelo appartiene, in vista di un servizio che è dono di grazia e non il privilegio di un super-uomo. Di questo servizio, anche il Papa deve rispondere personalmente di fronte a Dio. Quale sia l’ultimo passaggio del ministero a lui affidato, per altro, non tocca a noi immaginarlo, raccomandarlo (o addirittura intimarlo, come osa qualcuno che ha permesso al maligno di abitare la sua preghiera).La benedizione adesso è per te, Francesco: e di questo noi parliamo a Gesù. Per la salute, i medici assicurano le migliori cure. Per la mano di Gesù che ti aiuta ogni giorno ad alzarti, abbiamo sempre speranza. Per la ripresa del servizio, quando e fino a quando il Signore vorrà, siamo certi che sarà generosa esattamente come lo è stata sino ad ora. Dentro la nostra preghiera, e il nostro affetto, c’è questo.
Leo Nodari