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elisabettadibiagio.jpegAbbiamo dialogato con la professoressa Elisabetta Di Biagio che ha insegnato Italiano, Latino e Greco nel Liceo Classico di Teramo “M. Delfico”, è redattrice del mensile la “Tenda” rivista dell’Associazione culturale “Prospettiva Persona”.
Hai pubblicato il tuo primo libro di poesie in vernacolo teramano “Jurnerecurdìvele” (Giorni da ricordare) ed. Artemia.Come nasce la tua passione per il dialetto?
La mia passione per il dialetto nasce sicuramente dal mio amore per le radici, per le mie origini, per il mondo della campagna e della città. Il dialetto è una lingua  vicina al latino, meno parlata, meno scritta e quindi si è evoluta di meno. La lingua si trasforma “in bocca ai parlanti, come diceva De Saussure “la lingua è un organismo sociale pertanto si evolve insieme agli uomini”. Ho studiatole lingue classiche per questo amore, ho fatto la tesi in glottologia (molti fuggivano), mi intricava il confronto con le varie lingue, le radici delle parole.C’è una passione linguistica.

Perché hai aspettato tanto per pubblicare?
Perché pur avendo sempre coltivato l’uso del dialetto sia nel parlato che in forma scritta, ho tenuto le poesie ben chiuse nel classico “cassetto” per pudore e perché ritenute troppo attinenti alla sfera personale e al mio mondo.

Il libro è diviso in sezioni , precedute da un tuo studio “Dai dialetti alla lingua nazionale, dalla lingua nazionale ai dialetti” . In sintesi, che cosa hai messo in evidenza?
Questo saggio l’ho scritto per un intervento a un Convegno organizzato dal Liceo Classico “M. Delfico” per i 150 anni dall’unità d’Italia. Parlo del rapporto tra le lingue nazionali e il dialetto che è stato sempre difficile e a volte conflittuale. Mi sono basata sui testi di De Mauro,Chomsky per lo strutturalismo, Dardano, Migliorini, soprattutto sui testi di F.Brevini.  Ho parlato anche della Lega che proponeva lo studio del dialetto a scuola e la censura esercitata dalle gerarchie scolastiche del passato che miravano a estirparlo. La mia posizione è intermedia, non insegnarlo a scuola ma conoscerlo, è un veicolo di valori che costituiscono la nostra storia, la nostra identità, come dice Brevini“il dialetto evoca la casa, la terra, la familiarità, gli odori della vita”.   Ho ricordato che la questione della lingua comincia con Dante, nel Convivio riflette sul rapporto tra lingua di uso letterario e lingua di uso quotidiano.Il risultato è “quella pantera” che effonde il suo puzzo intorno ma che non possiamo trovare in un luogo preciso, è una allegoria e significa che una lingua non si può identificare con uno solo dei volgari esistenti e parlati ma con l’esito di una contaminazione e trasformazione della lingua usata in poesia dei letterati. La soluzione linguistica di Manzoni è quella del fiorentino colto, lontano dalla lingua che usava il popolo. La letteratura in dialetto si diffonde nell’ Ottocento con Belli e Porta e nel Novecento con Trilussa.

Ma è vero che quando spiegavi la Divina Commedia collegavi alcuni termini con il  nostro dialetto teramano?
Sì, ho ritrovato in Dante molti termini del nostro dialetto: quando spiegavo “ito”, dicevo che lo troviamo nel dialetto con  “so’ ite”.Ma i riferimenti sono tanti...

Elso Serpentini nella prefazione definisce i tuoi versi “poesie d’occasione”, per chi  ama leggere 
“Poesia d’occasione, scritte per determinate occasioni, io ho usato questa espressione. La prima sezione è La scuola dove ho vissuto gran parte del mio tempo e che ha occupato il mio cuore, i miei interessi.  Parlo delle persone che ho conosciuto e che ho considerato miei maestri, come il professorElsoSerpentini e la professoressa M.T. Barnabei, la sezione si chiude con la traduzione in vernacolo dell’Infinitodi Leopardi e Tanto gentile di Dante. La seconda l’ho dedicata ai pensionati, i colleghi che quando lasciavano la scuola, spesso, mi chiedevano poesie. La terza è dedicata a Teramo, c’è una poesia Porta Romana che è piaciuta molto. Quarta sezione è Compleanni e ricorrenze, tra le  poesie mi piace ricordare quella dedicata alla mia mamma dove ho raccontato la sua storia. Ultima parte sono i dialoghi con le persone care, monologhi.

PoexLibro dedicato ai giovani, ai tuoi alunni,a tutte le nuove generazioni
Si, ho dedicato il libro ai giovani, destinatari delle mie appassionate fatiche sulle “sudate carte” e dei miei interessi linguistici, con l’invito a conoscere anche il dialetto delle loro radici accanto alla lingua nazionale e a quelle della comunicazione con il mondo.

Tra pochi giorni i ragazzi  andranna S. Gabriele peri cento giorni prima degli Esami di stato, hai scrittoanche una poesia
Sì, sono rimasta a scuola e ho scritto per i miei alunni ,  una delle prime classi che ho avuto al liceo: “San Gabrijèle mi, pìnzece tu, daje n’ucchje, nu sguarde e caccos’addremittecena abbona parole…Nzòmme, San Gabrijel’amì, pe’ ‘nde l’allungàtandedaje n abbona zambàte…e ‘nge li fa’ ‘rmenìnandre’anne tra li pite

Chi dobbiamo ringraziare per il disegno della copertina, alcuni personaggi e luoghi delle poesie?
Mio fratello, Maurizio Di Biagio. Ha coltivato la passione per il disegno, vignettista umoristico e disegnatore realistico. Il disegno della copertina rappresenta Porta Romana 70 anni fa,  quando non c’erano le macchine.

Vorrei  che salutassi i nostri lettori con i versi di Carducci con cui concludi il tuo libro
Si, Il canto dell’amore,sonoiversi che recitavo quando salutavo i ragazzi nelle cene di fine anno scolastico. Loro gradivano molto e anch’io amo questi versi:
Salute, o genti umane affaticate!
Tutto trapassa e nulla può morir.
Noi troppo odiammo e 
sofferimmo. Amate.
Il mondo è bello e santo è l’avvenir”.
(
G. Carducci, Giambi ed Epodi, libro II, vv. 93-96)

ANNA BRANDIFERRO