Scuote la Sinistra abruzzese, la lettera che il consigliere regionale Sandro Mariani ha scritto al direttore del Centro, Luca Telese, in risposta ad un editoriale nel quale, commentando le elezioni, il giornalista sottolineava l’esigenza per il Centrosinistra abruzzese di identificare un leader, o meglio una Salis abruzzese che, come la neo Sindaca di Genova, possa farsi portatrice di un messaggio nuovo, cominciando magari dal tornare sul territorio, tra la gente, a mettere gli stivali nel fango.
Nel dibattito nato da quell’editoriale, in molti hanno preso carta e penna per dire la loro, da Sinistra e non solo (è intervenuto anche il Sindaco dell’Aquila, Biondi), ma tutti si sono limitati a tentare possibili identikit del nuovo leader, e a delineare le strategie per individuarlo.
Mariani, al contrario, ha preso tutti in contropiede, riportando la discussione su un percorso “interno”, sulla creazione di un leader non sulla ricerca.
«Un leader non lo si trova per caso ma lo si costruisce…» scrive Mariani a Telese, e dettaglia:
«Lo dice la nostra storia, quella “antica orgogliosa appartenenza” che ci riporta al pensiero di chi seppe sì imporre il suo carisma, ma venendo dalla militanza nelle fabbriche, dall’ascolto della sofferenza, dalla lotta contro l’ingiustizia, finanche dalle fila delle brigate partigiane. Citavi Berlinguer, quale esempio migliore? L’esperienza non si inventa… Sì, lo so che nel “Mondo Nuovo”, quello che limita i pensieri allo spazio di un post e confina la politica in un tweet, basta un reel per diventare popolari, ma è popolarità effimera, buona per cavalcare il presente, non per costruire il futuro. Io non rifuggo da questo “mood” di interpretare la comunicazione politica ma continuo a pensare che non possa essere “la politica” o almeno la politica non possa essere solo questo».
Una rivendicazione dell’esperienza, fatta da «… gli stivali infangati non se li toglie da sedici anni, né per professione, come è giusto che sia per un “veterinario di campagna” che ama il suo lavoro, né per impegno politico, come è giusto che sia per chi si propone di rappresentare davvero la sua gente, senza mai perdere quella vicinanza, umana prima ancora che politica, e quella capacità di ascolto fatta di sguardi e non di mail, che sono l’ingrediente essenziale della rappresentanza. Da assessore nel mio Comune, prima, e da consigliere regionale da tre mandati, con quegli stivali infangati ho portato all’Emiciclo la voce della gente, anzi: della “ggende” per dirla all’abruzzese, quella vera, quella che chiede sicurezza sul lavoro, quella che chiede una sanità efficiente, quella che chiede città protette, quella che sogna un futuro per i propri figli qui in Abruzzo e non altrove!»
Il che - dice Mariani - non significa non essere aperti al nuovo: «…ricordo prima di tutto a me stesso di essere stato in prima linea alle ultime regionali per tentare un cambiamento radicale in Abruzzo, per imprimere una svolta, e sempre io ho convinto il professor Luciano D’Amico, in una torrida serata estiva a Giulianova, il 18 agosto del 2023, ad accettare la candidatura, quella candidatura e quella figura che continuo ancora a considerare, in quel momento, la migliore delle candidature possibili. E non solo, visto che nel tuo editoriale scrivi: «Se c'è un sindaco giovane, di un grande comune di questa regione, che abbia saputo costruire una maggioranza innovativa e realizzare progetti, deve essere sfuggito ai nostri sismografi», consentimi di ricordare che quando il mio stesso partito e Giovanni Legnini mi chiesero di candidarmi fuori dal partito, sotto le insegne della lista civica degli amministratori “Abruzzo in Comune”, per poter costruire una coalizione più numerosa e strutturata, che supportasse la candidatura alla presidenza dello stesso Legnini, in quella lista comparvero accanto ai nomi di amministratori esperti anche quelli di giovani amministratori quali sindaci, vicesindaci, assessori, quella stessa numerosa e corposa filiera di ormai ex ragazzi che da anni si impegnano sul territorio e che, qui nel Teramano dove posso parlare con maggiore cognizione di causa, va dalla città capoluogo fino al Comune più piccolo divenendo spesso riferimento nelle dinamiche della nostra Provincia. Gente che non ha paura di sporcarsi gli stivali e che ogni giorno guarda negli occhi la “ggende” e tocca i problemi di ogni abruzzese».
Ma è sulla Salis, che Mariani affonda il colpo: «…non abbiamo perso contro una Salis del Centrodestra abruzzese, perché Marsilio è tutto tranne che «…un nuovo personaggio che si fa largo a sportellate», e neanche contro quella che, nel risponderti, il Sindaco Biondi definisce enfaticamente “la classe dirigente abruzzese costruita nel tempo”, così ben costruita che il candidato presidente il centrodestra se l’è dovuto far mandare da Roma. No, abbiamo perso perché abbiamo smesso di “dire qualcosa di Sinistra”, abbiamo lavorato sulla critica e non sulla proposta, sulla censura dell’azione altrui e non sulla progettazione della nostra, sul visibile e non sulla visione. Le parole sono importanti, come ci insegnano le folle giovanili che non si avvicinano alla politica, o meglio al nostro “mondo della politica”, non perché non abbiano idee o interessi, non perché non cullino ideali o speranze, ma perché non ci capiscono. Non capiscono la nostra lingua, il nostro confuso confondersi in schermaglie improduttive, il nostro prevedibile intreccio di polemiche scontate, tutto quel “comunicare per apparire” che contribuisce a creare solo un fastidioso rumore di fondo. I giovani odiano il rumore, perché si nutrono di musica. Una musica fatta di speranze, di impegno, di volontariato, di ambiente, di scambi culturali. Di visioni, soprattutto. Per questo troppi non vanno a votare. E tra quelli che ci vanno in troppi votano, fin troppo spesso, seguendo le dinamiche familiari suggerite da quelle logiche clientelari che sono, da sempre, nel DNA di una certa idea della politica. Queste logiche, non si scardinano con un leader “trovato”. Il leader lo dobbiamo costruire ritrovando quell’Unità alla quale la Sinistra un tempo era così legata dal dedicarle una festa, ma che poi abbiamo mortificato in un continuo rincorrersi di personalismi, anteponendo le aspirazioni del singolo ai bisogni della “ggende”».
La chiusura della lettera di Mariani è un manifesto politico: si diventa leader « …non limitandosi a mettere gli stivali nel fango, ma consumandoli letteralmente sulle strade della loro terra. Si diventa leader… CAMMINANDO. Si diventa leader… ASCOLTANDO. Si diventa leader… BATTENDOSI per migliorare le vite degli altri, non le proprie. Appartengo a quel modo di fare politica. Alla politica che festeggiava l’Unità, perché poteva vantarsi di averla curata, seguita, mantenuta, coltivata, amata anche. Abbiamo sempre saputo ascoltare la “ggende” e costruire i nostri leader, anche grandi leader. Dobbiamo solo ricordarci come si fa».