In Italia, vive un popolo di almeno 20 milioni di allenatori, dirigenti sportivi, tattici, preparatori atletici, direttori sportivi. Non vi è un solo appassionato di calcio che si esima dal dire la sua sui moduli tattici, sugli schemi, sulla tecnica di base o sulle presunte qualità di un calciatore. Considerazioni a ripetizione, imprecisioni, misconoscenze, paradossi. Il Belpaese è l’unico al mondo nel quale pure chi gioca in quarta, in quinta o in sesta categoria ritiene di essere un campione della pelota. Una cosa è certa: in Italia si spendono tanti soldi per il pallone. Veniamo al dunque. Quanto costa disputare un buon campionato di serie D? E quanti soldi si spendono per tentare di vincerlo? Quanti soldi incassa un calciatore per diletto (dilettante, ndr)? La verità è più imbarazzante della menzogna. La serie D è la quarta serie nazionale e la prima serie dei campionati dilettantistici: 9 gironi, ciascuno di 18 squadre, per complessive 162 formazioni e circa 4.050 atleti. La geopolitica della serie D cambia con il mutare della latitudine. Nei gironi del Settentrione, vi è un maggior disinteresse per la categoria, seppure vi sia una nutrita presenza di calciatori di qualità. Nei gironi centrali e del sud, di contro, si rilevano più agonismo, tifoserie organizzate e maggiore attenzione dei media. Per fare calcio in serie D, ci vogliono – dalle parti nostre – soldi veri. Proviamo, da neofiti, a stilare un bilancio di esercizio. Il monte ingaggi (calciatori e staff) medio per un campionato nelle posizioni di avanguardia oscilla tra il mezzo milione di euro e i settecentomila euro. Per vincere un campionato, si sfiora o si supera il milione di euro. Poi, ci sono tutti gli altri costi fissi e variabili: le trasferte, gli alloggi e il vitto per i calciatori, i costi amministrativi, l’elevatissimo costo degli impianti da gioco, il settore giovanile, i vestiari, etc. Insomma, non si fa fatica a dire che, per fare un campionato onorevole, occorre mettere sul tavolo un milione di euro. La sola quota di iscrizione (senior e giovanili), inclusa la fideiussione, costa circa 50.000 euro. Accertato il quadro delle uscite (costi), passiamo al quadro delle entrate. La Lega nazionale dilettanti, su scala nazionale, ripartisce circa un milione di euro in favore delle squadre più virtuose, cioè quelle che hanno utilizzato atleti più giovani. Potete capire che si tratta di una goccia nell’oceano, difficile da percepire se si vuole essere competitivi. Gli altri introiti sono rappresentati dagli incassi, dagli sponsor e dalle quote di conferimento dei soci. Capitolo incassi. In costanza di una media spettatori paganti di 2.000, si riescono si è no a coprire i costi dell’impianto. Quindi, tale entrata si sterilizza da solo per effetto delle spese di affitto del campo di gioco, del pagamento degli steward, dei servizi collaterali e della SIAE. Quando la media spettatori supera i 2.000 paganti allora inizia a concretizzarsi un surplus per la società. E’evidente che piazze con una media paganti di 5.000 spettatori, coprono il preventivo di spesa in una misura non inferiore al 50%. Capitolo sponsorizzazioni. Sponsorizzare una formazione di serie D porta un piccolo, quasi impercettibile, valore aggiunto al sistema delle imprese, ma solo nel micro circuito economico. Motivo per il quale, sempre più, si assiste a conferimenti minimi e parcellizzati (spesso mensili), che non consentono programmazioni aziendali anticipate. Immaginiamo, con tutta la benevolenza e la fantasia del caso, che una società raccolga 500.000 euro di sponsorizzazioni. In assenza di folto pubblico, cioè inferiore a 2.000 unità paganti per partita, il sodalizio deve coprire – su base annuale – la parte restante, pari a circa ulteriori 500.000 euro. Capitolo valorizzazione dei giocatori. Vi è una remota ipotesi che consentirebbe alla società di tesaurizzare la valorizzazione di giovani promettenti. Remota perché il mercato dei calciatori, con il preponderante arrivo dei calciatori stranieri, si è fortemente modificato negli anni. Oggi, financo in Promozione, vi sono squadre ove militano, in largo numero, calciatori sudamericani che hanno disputato campionati di serie A e di serie B nelle rispettive leghe. La sostanza è che l’offerta di calciatori è maggiore della domanda. Quindi, il valore degli atleti che militano nelle categorie di terza o quarta fascia è in netta flessione. Sulla questione, deve affermarsi – altresì – che si è modificato il vincolo con i giovani atleti. Quindi, i settori giovanili non hanno più interesse ad investire, in quanto le prime squadre, al costo del solo ingaggio, possono reperire su piazza veri professionisti disposti giocare pure in prima categoria. Al momento, solo tra i calciatori professionisti, si contano circa 400 disoccupati. Tra di essi, atleti che hanno militato nella massima serie. Un calciatore di serie D può avere un salario mensile che oscilla dai 300 euro mese ai 6.000 euro mese. Vi sono eccezioni più costose, ma si contano con le dita. Una cosa è sicura: i giocatori forti, quelli che fanno la differenza, costano molto. I calciatori più pagati sono di regola, in ordine, gli attaccanti, i centrocampisti centrali e i portieri. Ruoli per i quali è più faticosa la ricerca. In conclusione, per uscire dal calcio dilettantistico, occorrono tanti soldi, impianti sportivi a costi calmierati, settori giovanili adeguati, relazioni con i settori giovanili più importanti, rapporti con procuratori e direttori sportivi di altri paesi, una media spettatori molto elevata. Sempre più rara e remota è l’ipotesi che si concretizzi l’apparizione di qualche plurimilionario, con la passione e la filantropia per una palla che ruzzola nei campi, non più in erba, ma sempre più di plastica.
GIGIRRIVA