Con un tristo tentativo di replica, che fuga ogni mia residua speranza sulla loro capacità di interpretare i tempi e i modi del dire e del tacere, quelli dell’Unione degli Studenti s’avventurano in una autolesionistica arrampicata sugli specchi, tentando una disperata risposta al mio articolo di due giorni fa, arrivando finanche a sfiorare un accenno di critica grammaticale.
Se non fossero patetici, sarebbero quasi divertenti.
Eviterò, per umana pietà, di spiegare agli improvvidi replicanti quali siano le regole del galateo della comunicazione, che impongono che si risponda ad un articolo di giornale scrivendo a quel giornale, non affidandosi ad una pagina social.
I motivi sono intuibili, e attengono al rispetto del lettore, categoria che evidente i Nostri non frequentano.
Tant’è.
Andiamo avanti.
Cominciando dal rispondere al fatto che a loro le mie critiche “paiono” ingiuste. Ho virgolettato il “paiono”, perché avrei preferito “sembrano”, ma non è questa la sede per spiegare agli studiosi replicanti la differenza tra le declinazioni della percezione, e poi di grammatica parlerò alla fine.
Torniamo al tema: per rispondere alla mia critica, relativa al fatto che in una loro nota avessero scritto di non essere stati informati della presenza dell’ambasciatore di Israele, i baldi studenti uniti rivelano: «In primo luogo contestate il nostro presunto ritardo nel prendere posizione, sottolineando che avremmo ignorato notizie "che tutti sapevano", a nostro avviso, rivela una scarsa comprensione del nostro ruolo. Non siamo una redazione giornalistica, ma un collettivo studentesco. Prenderci del tempo per riflettere e rispondere con serietà a temi così complessi, come la memoria e il conflitto israelo - palestinese, è un atto di responsabilità nostra».
Fingerò di aver compreso il senso della prima frase, perché credo sarebbe ingeneroso sottolineare, oltre alle già segnalate incertezze grammaticali, anche l’evidente deficit di costruzione sintattica, quindi vado avanti, perché quello che mi interessa è il passaggio: «… prenderci del tempo per riflettere e rispondere…» a cosa?
Se quello che contestano è il “mancato avviso” sulla presenza dell’ambasciatore di Israele, su cosa dovevano riflettere?
Andiamo ancora avanti e passiamo, come dicono i miei “competitors” (si noti la modernità del mio scrivere), alle «verità scomode», ovvero «al cuore della nostra critica, ribadiamo che essa non riguarda né la figura di Adamoli né l'importanza del titolo di "giusto tra le nazioni", ma l'uso strumentale della celebrazione».
E quale sarà mai questo uso strumentale?
Ce lo spiegano subito: «…il discorso dell'ambasciatore Peled, non ha riconosciuto affatto le gravi violazioni dei diritti umani compiute da Isr4aele, mentre il Presidente Marsilio ha preferito fare un intervento che ignorava del tutto le cause storiche del conflitto, (o meglio g3nocidio), riducendo tutto al 7 ottobre».
Spero non si offendano, ma ho preferito scrivere Israele e Genocidio, non come hanno fatto loro “Isr4ele” e “G3nocidio”, perché non mi sottometto alle logiche castranti del politicamente corretto ad uso social, come invece fanno, prostrandosi, i Nostri difensori della verità storica.
Se avessero conosciuto il già citato galateo, avrebbero evitato questa brutta figura.
Ri-tant’è.
Mi intenerisce, l’accenno critico al fatto che l’ambasciatore non abbia riconosciuto le gravi violazioni dei diritti umani compiute dal suo Paese, un’affermazione che la dice lunga sulla percezione della realtà e sull’utilità di quel « Prenderci del tempo per riflettere e rispondere con serietà a temi così complessi…», perché se questo è l’esito di quella riflessione, se questa è la risposta “con serietà”, allora siamo di fronte ad una vera e propria forma di dissociazione.
L’eco lontana di una retorica imbevuta di ideologia di risulta, senza vera costruzione culturale.
Soprattutto, senza palle.
Se così insopportabile vi è risultata la presenza dell’Ambasciatore, perché siete rimasti?
Perché non ve ne siete andati?
Perché non vi siete alzati e, con l’evidenza dei gesti immediati, non con la retorica dello scrivere quattro giorni dopo, non avete segnato la distanza tra il vostro pensiero e quella manifestazione?
Certo, il temino quattro giorni dopo, è più facile.
Visto che poi, con un pizzico di spocchia giovanile, mi invitate a darmi da fare "quanto voi" per la giustizia, consentitemi, adesso, un attimo di ricordo personale: il 17 gennaio del 2009, dopo l’ennesimo bombardamento israeliano su Gaza, scelsi di trasformare l’intera prima pagina del giornale che dirigevo in un j’accuse, invitando la mia città a prendere le distanze dalla nostra “gemellata” israeliana.
Ve ne offro una foto a fine articolo, subito prima del post scriptum grammaticale.
Qualcuno non gradì e mi scrisse, non una malimpostata letteruccia social come la vostra, ma una lettera scritta bene, con chiari riferimenti a me, alla mia famiglia e a quello che avrebbero fatto a me e alla mia famiglia.
Era anche firmata, da un’organizzazione di estrema destra.
Il Prefetto dell’epoca, la considerò credibile al punto di ventilare, prima che io mi opponessi con ogni forza, la possibilità di una scorta.
Voi, non c’eravate.
Non potevate esserci.
Per questioni d’anagrafe.
Non c’eravate neanche qualche settimana fa.
Eppure avreste potuto.
Per questioni d’anagrafe.
Perché io, queste cose su Israele e sui massacri a Gaza, le ho scritte di nuovo.
A commento, pensate, di una mozione proposta dal consigliere comunale che, per questioni d’anagrafe, è il più vicino a voi.
Una mozione che impegnava il Sindaco di Teramo ad esprimere il “disappunto” della nostra città alla gemellata israeliana, per quello che sta soffrendo popolo palestinese.
Non c’eravate.
C’eravate, però, quando nella cerimonia per Adamoli, il Sindaco si è alzato per salutare con orgoglio l’ambasciatore di quello stesso Paese al quale avremmo dovuto esprimere disappunto.
C’eravate, ma avete ascoltato solo l’ambasciatore e Marsilio.
Per poi parlarne quattro giorni dopo.
Magari illudendosi di «...combattere ogni giorno contro contro ogni forma di violenza e ingiustizia...».
Su Instagram.
Dopo la ricreazione, magari.
E' più facile, certo.
Meno impegnativo.
E basta un temino Instagram, per sentirsi “ribelli”.
Pur avendo lasciato le palle a casa.
ADAMO
PS
- Dedico solo poche righe a margine, alla risposta sulla grammatica, ma lo faccio con fatica, perché chi scrive un’intera replica in maiuscolo, facendo scempio delle virgole, non meriterebbe alcuna risposta, ma voglio comunque farvene dono.
Noto che avete cercato, tra le migliaia di pagine di certastampa, qualche spunto per attaccarci.
Sforzo inutile, e anche un po’ miserabile.
Se la lettura delle cronache locali fosse tra le vostre abitudini, sapreste infatti che questo sito, che vanta 14milioni di visualizzazioni l’anno, segue da sempre una regola: la pubblicazione “in originale” dei comunicati, delle lettere, degli interventi, perché crediamo che chiunque decida di scrivere ad un giornale, lo debba fare assumendosene la responsabilità.
Dei contenuti e della forma.
E se scrive un “qual’è” o un “pò”, ne pagherà lo scotto.
Rispondo del mio scrivere e, negli scritti di altri, censuro solo i contenuti palesemente diffamatori, perché è il mio ruolo.
Sul mio refuso, invece, quell’aver scritto “Unione deglistudenti” senza spazio: è vero, succede, come chiaramente mostrate voi con quel vostro “apostrofoo”.
Infine, se aveste letto anche solo di sfuggita qualche volta questo sito, sapreste che tra i nostri collaboratori c’è un ragazzo speciale, attento cronista e capace reporter dei problemi della città.
Dei suoi errori grammaticali, andiamo fieri.
Dei vostri, spero che almeno il magma del consenso social vi sia di conforto.
Anzi: di confortoo.