Nei primi anni ’50 del secolo scorso uno dei principali interrogativi di un dibattito assai diffuso e partecipato era costituito da un dilemma: “Per Teramo avvenire turistico o avvenire industriale?”
“Il Messaggero” martedì 19 novembre 1957 dedicava proprio a questo argomento il titolo di un articolo con il quale proseguiva una specifica inchiesta, condotta tra teramani doc e forestieri residenti da tempo in città. La città guardava al futuro e poteva permettersi (o credeva di poterlo fare) di operare una scelta, in base a criteri di convenienza e di maggiore opportunità.
Secondo il dott. Luciano Tombesi, marito di una teramana, Teramo avrebbe dovuto assumere un indirizzo agricolo-industriale: agricolo perché era una città prevalentemente agricola, industriale perché le autorità e gli enti interessati stavano già cercando con tutti i mezzi di renderla tale.Sarebbe stato da stupidi rinunciare ai benefici che la Cassa del Mezzogiorno concedeva in questo settore. Un pensionato, Lorenzo Fosica, dichiarava, invece,che, secondo lui, Teramo doveva puntare ad un avvenire turistico. Aveva viaggiato per trentacinque anni in tutta Italia e località turistiche di pari bellezza ne aveva viste poche. Un insegnante, Ines Pacini, era del parere che si dovesse scegliere una via di mezzo tra turismo e industria. La città offriva infinite bellezze naturali, ma non disponeva delle attrezzature turistiche necessarie e richieste. Industrialmente, invece, era quasi agli inizi, pertanto non si poteva puntare solo sull’industrializzazione, da qui la necessità di una via di mezzo.
Decisamente per un avvenire turistico era un commerciante, Marcello Di Stani, il quale diceva che Teramo era una città che avrebbe potuto diventare un luogo di soggiorno estivo e di mezza stagione, soprattutto per l’altitudine, che si prestava moltissimo per le persone che non potevano soffrire l’alta montagna. Le autorità avrebbero dovuto puntare sullo sviluppo turistico,effettuando e organizzando manifestazioni di richiamo. Teramo aveva tutto per poter degnamente riuscire nel campo turistico.
Ma un altro insegnante, Roberto Di Silvestre, faceva notare che Teramo turisticamente non poteva ancora dire la sua, soprattutto perché mancava una coscienza turistica e organizzativa. Le manifestazioni che vi si svolgevano erano tutte stagionali, occorreva ben altro per farsi notare nel campo del turismo. La città avrebbe dovuto, perciò, assumere un indirizzo prettamente industriale, sfruttando la montagna e le sue innumerevoli risorse, riprendendo e salvaguardando l’industria laniera e valorizzando le risorse industriali già a disposizione.
Bei tempi quelli nei quali i teramani si chiedevano quale potesse e dovesse essere l’avvenire della città! Già pensare di poter scegliere dava quasi un senso di onnipotente libertà, come quello che avverte un bambino quando gli chiedono che cosa vuole fare da grande e risponde la prima, magnifica cosa che gli viene in mente. Oggi possiamo giudicare con occhi diversi ciò che dicevano i teramani di ieri di quella che avrebbe dovuto essere la Teramo di oggi e capire cosa è davvero diventata e che cosa è davvero. Ognuno di noi può dare la propria risposta a quello stesso interrogativo che ci si poneva 66 anni fa.Certo che oggi Teramo non è né una realtà turistica né una realtà industriale.Il sogno di poter scegliere il proprio avvenire è finito?Viene il dubbio che il sogno di ieri sia oggi un incubo e che si sia costretti a chiedersi non quale possa essere l’avvenire di Teramo, ma se Teramo abbia ancora un avvenire.
Elso Simone Serpentini