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ATRIDUOMO

L’emergenza epidemiologica da Covid-19 è senza dubbio la prova più difficile che il Paese abbia dovuto affrontare dal dopoguerra e le sofferenze da essa determinate non hanno risparmiato nessuno. La quarantena ci ha costretti a riorganizzare le nostre vite, ma è indubbio che il distanziamento sociale sia stata e sia, almeno per ora, la principale arma a nostra disposizione per contrastarne la diffusione. Alto resta il prezzo che, comunque, si è pagato in termini di vite umane ed è doveroso condividere il dolore che ha straziato le famiglie alle quali la crudeltà del virus ha sottratto anche la possibilità dell’ultimo saluto. Perché tutto questo dolore non resti vano, auspico che ne usciremo migliori, come singoli e come comunità e che il valore della solidarietà torni al suo significato primario, come sentimento di condivisione e compartecipazione sincero. Lo stesso sentimento, non scontato, che è stato il valore aggiunto al senso di responsabilità che la comunità professionale del San Liberatore ha profuso dal momento dell’esplosione dell’emergenza. Non retorico, né di opportunistica circostanza è il grazie che, soprattutto come cittadino atriano, rivolgo a tutti gli operatori sanitari, certo di interpretare il sentimento di una collettività che nel San Liberatore trova la sua identità e il suo orgoglio.

Sento, tuttavia, l’obbligo di una riflessione più ampia sul piano politico, che comunque determina, condiziona e segna il presente e il futuro del nostro ospedale. Perché è innegabile che sia mancato un confronto, è innegabile che fino ad ora il consiglio comunale non sia stato posto nelle condizioni di poter condividere o meno le scelte fatte, e dunque di esercitare le proprie funzioni. Se nella prima fase la compressione decisionale è stata dettata dall’emergenza, quindi dall’immediatezza della risposta che ha riconvertito in pochissime ore il nosocomio in Ospedale Covid, sottraendo di fatto tutti i servizi e le prestazioni che lo caratterizzano, una più attenta e plurale condivisione avrebbe meritato la riflessione, in realtà decisione che sembra già assunta, sul futuro prossimo del presidio atriano.Si è deciso, o almeno così sembra, che l’Ospedale di Atri – nel corso della fase due – oltre a ritornare alle sue normali attività, continuerà a funzionare contemporaneamente anche come struttura CovidLa mia domanda, non polemica ma anzi di onesta curiosità, è relativa alle ragioni che hanno dettato questa soluzione: se questa soluzione è stata presa, chiaramente, è più che lecito supporre che ci siano dei razionali medico-scientifici che la giustificano. Ma visto che questi razionali per ora non sono ancora stati esplicitati,ma anzi sono rimasti piuttosto nebulosi a livello pubblico-mediatico,chiederei che li si chiarisca formalmente una volta per tutte e in modo definitivo. Se, come afferma il Ministro della Salute, la fase due deve passare attraverso un’organizzazione territoriale attenta, non si comprenderebbe, o almeno io non comprenderei, senza una chiara esplicitazione delle motivazioni, quale sia la visione strategica della ASL di Teramo e della Regione Abruzzo.Se Pescara avrà una struttura dedicata, con un finanziamento di 11 milioni di euro, Giulianova ha riconvertito in Covid la struttura già destinata ad accogliere i malati di Alzheimer, Teramo e L’Aquila avranno comunque reparti finalizzati, diventa difficile comprendere – senza una valutazione manifesta delle ragioni specifiche – la scelta, che altrimenti potrebbe apparire frettolosa, assunta per il San Liberatore.Ma posto che sia necessario, in un’ottica di malaugurata recrudescenza del virus, mantenere un presidio Covid nel nostro territorio, c’è bisogno ovviamente di una discussione aperta anche relativamente all’organizzazione che l’Ospedale dovrà avere nella prossima fase in vista della sua doppia funzione. Giustamente si è parlato di una segregazione funzionale dei percorsi, tra quello “sporco” Covid e quello “pulito” non Covid  La scelta di dedicare il padiglione del “vecchio” ospedale alla cura dei pazienti Covid è sembrata essere la soluzione ottimale, e secondo molti questo tipo di separazione della parte “sporca” da quella “pulita” consentirebbe il ritorno alla piena e normale attività ospedaliera. 

In qualità di consigliere comunale sento il diritto/dovere di dissentire da questa opinione: è innanzitutto noto a tutti che la lotta al contagio sarà vinta solo quando avremo a disposizione un vaccino efficace e fino ad allora sarà difficile che l’ospedale torni, nonostante gli annunci, alla sua piena funzionalità. Prova ne è il fatto che, nella prima fase di riconversione, il numero dei posti letto sarà comunque inferiore. Ma l’aspetto più importante su cui mi preme obiettare è quello legato a come è stata pensata la separazione funzionale dei percorsi: seppur si ipotizzino due ingressi differenti, i due blocchi – Covid e non Covid – insisterebbero comunque negli stessi spazi e si troverebbero nello stesso edificio.Uno dei nostri obiettivi condivisi, chiaramente, dev’essere quello di impedire o, almeno, minimizzare le possibilità di spiacevoli outbreak ospedalieri. Le strutture ospedaliere sono, per ovvie ragioni, tra le più vulnerabili e credo sia un dovere delle autorità vagliare tutte le ipotesi sul tavolo e – se possibile – prediligere quelle che, ceterisparibus, rendano più inverosimili queste dolorose (ma purtroppo realistiche) eventualità. La fase uno dimostra come spesso, per una ragione o per un'altra, sia difficile mantenere una totale impermeabilità tra i percorsi, pur funzionalmente separati, quando questi si trovano comunque all’interno di uno stesso edificio. Pertanto invito le autorità a vagliare l’ipotesi ragionevole di una vera e propria segregazione spaziale completa dei percorsi, ponendoli in essere all’interno di due edifici totalmente diversi. Proporrei infatti di mantenere presso l’edificio ospedaliero le normali attività (il percorso “pulito”) e di sfruttare invece come sede per la struttura Covid l’ex orfanotrofio femminile “ D. Ricciconti”.

Un’ultima considerazione: desidero che il presente documento sia letto non come una polemica ma come uno spunto di riflessione generale, come l’articolazione di una serie di consigli e inviti fatti in uno spirito di massima collaborazione, così come mia abitudine.In qualità di ex Sindaco ed ex amministratore Provinciale, ho sentito il dovere di esternare un punto di osservazione magari diverso che, spero, possa servire per generare ulteriori riflessioni e per meditare le scelte definitive in modo più ponderato.La mia persona e il mio ruolo sono e saranno sempre a disposizione per la salvaguardia degli operatori e di tutti i cittadini utenti del San Liberatore.

Paolo Basilico